"Purtroppo per loro – sottolinea Sandali - la legge c’è ed è in vigore perché fa bene al vero made in Italy e gli attacchi del New York Times al falso olio di oliva spacciato fraudolentemente sul mercato statunitense come made in Italy confermano quanto si debba ancora investire per informare correttamente il consumatore senza indurre in allarmi che il più delle volte rispondono ad interessi estranei al mondo della produzione e che nulla hanno a che fare con un’informazione corretta”.
La presenza all’interno della stessa categoria dell’olio di tante tipologie di prodotti, spiega la nota dell'Unaprol, genera nel consumatore una confusione in cui, spesso, vince solo la logica del prezzo. Nelle fasce medio-basse la competizione si gioca fra aziende di grandi dimensioni, in alcuni casi di multinazionali che hanno acquistato marchi italiani. Nella stessa fascia di prezzo agiscono anche aziende di medie dimensioni che, a volte, detengono marchi storici. Nello stesso contesto si inseriscono le private label che hanno una presenza significativa a scaffale e rappresentano per il consumatore una gamma garantita dal marchio dell’insegna.
“Un tutti contro tutti – sottolinea Sandali - che ha finito con il danneggiare il settore rendendo tutti più poveri. Tant’è che da tempo le principali multinazionali del settore sono crisi. Forse - ha aggiunto Sandali - più che svendere i marchi storici del made in Italy dell’olio di oliva bisognerebbe pensare ad un progetto coraggioso che miri a riacquistarli riportando la proprietà in Italia perché non siano solo un taxi sul quale far viaggiare con la targa made in Italy l’olio extra vergine di oliva che non è prodotto in Italia”.
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