"Nell'ultimo anno i vini venduti a marca privata hanno registrato un incremento del 6%, attestandosi oggi su una quota pari all'8,3% in valore. Si tratta di un trend che abbiamo il dovere di osservare e studiare da vicino, ma che non ci vede affatto entusiasti, poiché la marca privata toglie valore a quella dei singoli produttori, che corrono in tal modo il rischio di diventare semplici riempitori di bottiglie".

 

Lo ha dichiarato Adriano Orsi, presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative nel suo intervento all'Assemblea delle 400 cantine aderenti che si è riunita oggi 17 ottobre presso la cantina Viticoltori Friulani La Delizia.

 

"La crescita del marchio privato – ha proseguito Orsi – anche nel nostro settore, in linea con quanto avviene per tutti i principali prodotti del largo consumo, è un fenomeno che merita grande attenzione. E' fin troppo evidente, tuttavia, come nel vino a marchio privato, che nella maggior parte dei casi coincide con il marchio del distributore, la parte commerciale viene in qualche modo ad espropriare quella che è la funzione classica dei produttori".

 

"Pur riconoscendo che la vendita del vino a marchio privato possa costituire un valido sbocco commerciale per le aziende vinicole – ha concluso Orsi – la nostra strategia resta ancorata al principio che il produttore, il suo rapporto con il territorio e con i soci conferenti, siano dei valori che vanno difesi".

 

I trend di crescita della private label sono stati illustrati da Virgilio Romano, consulente di Symphony IRI Group. La quota del marchio commerciale in Italia è pari all'8,1% del vino venduto nel Paese (dati a consuntivo 2011), dato che si assesta all'8,9% (ultimo dato progressivo 2012, relativo a giugno). 

 

"Se l'Europa è un valido benchmark – ha dichiarato Romano – il futuro della private label nella categoria vino sarà quello di crescere. La quota a volume in Italia è circa la metà di quella europea (14,4% contro 29%) e a valore è circa 1/3 (8,1% rispetto al 22,6% dell'Europa)".