Il 2008 è l'Anno Internazionale della Patata indetto dalla Fao. Anche in Italia sono in corso molteplici iniziative delle quali è promotrice l'Unapa, l'Unione nazionale guidata da Sante Cervellati. L'importante iniziativa dell'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, è tesa, fra l'altro, a ricordare quanto la patata costituisca ancora uno dei cibi di base di molta parte della popolazione mondiale. Non sono però solo queste le novità di cui il presidente Cervellati parla in questa intervista che, infatti, è dedicata anche alla trasformazione dell'Unapa in società consortile. 

 

Come celebra l'Unapa l'Anno Internazionale della Patata?

Nei mesi scorsi si è svolto, in Abruzzo, un convegno dedicato all'acqua; a Bari, nel corso di un incontro, si è parlato dell'alto valore nutrizionale delle patate novelle mentre in Friuli Venezia Giulia c'è stata una manifestazione dedicata alle regioni d'Europa. Fra qualche giorno si terrà a Budrio un meeting sulla meccanizzazione. A settembre in Lombardia è previsto un convegno sul modello d'impresa coordinato dal professor Frascarelli, cui seguirà un'introduzione del presidente mentre le conclusioni sono state affidate all'europarlamentare Francesco Ferrari. Per l'Autunno è previsto un importante incontro nazionale alla Fao, organizzato insieme all'Italpatate. In questa occasione sarà lanciata una campagna di sostegno ai paesi in via di sviluppo, attraverso i canali della grande distribuzione. 

 

Quali sono le novità per l'Unapa?

A Marzo abbiamo avuto un nuovo riconoscimento dal Ministero delle politiche agricole. Come prevede il decreto legislativo 102 del 2005 siamo ora un'Unione nazionale con ragione sociale consortile. L'unica per ora in Italia. I nostri soci sono trasversali rispetto alle organizzazioni.

 

Dunque si volta pagina?

Il raggiungimento di questo riconoscimento chiude un ventennio d'intenso lavoro che ci ha consentito di mettere insieme dieci organizzazioni dei produttori presenti su tutto il territorio nazionale. Nel loro complesso le nostre organizzazioni dei produttori mettono insieme quattro milioni di quintali di prodotto che viene stoccato in strutture di proprietà. Il fatturato raggiunge i 70 milioni d'euro, due milioni in più rispetto al tetto che la legge fissa per il riconoscimento. In sostanza noi rappresentiamo, in termini di fatturato, un quinto di quello che produce l'intero settore pataticolo italiano, vale a dire 350 milioni. tenendo conto che però il 30% del fatturato nazionale è di autoconsumo, noi in realtà rappresentiamo quasi il 30%.

 

Non ci sono rischi nel costruire una Unione con una spiccata vocazione mercantile?

La cosa che vorrei riaffermare è che, nonostante il ruolo marcatamente economico di una società consortile, in Unapa rimane però centrale un forte momento di collegamento tra le imprese che operano nei diversi bacini. La nostra attenzione dunque non è solo per il momento economico ma è rivolta allo stare insieme dei soci. Si lavora non pensando soltanto al proprio interesse locale. C'è una significativa condivisione sulla importanza della rappresentanza - senza per questo sostituirsi alle associazioni agricole - e sul riconoscimento che le imprese non possano gestire da sole il confronto con il mercato, con la grande distribuzione e con le istituzioni. D'altra parte è proprio questo il ruolo che ci assegna la legge 102. 

 

Dunque viva le Unioni!

L'adesione all'Unapa è secondo me un momento di acculturamento comune per intercettare opportunità. Fondamentalmente il gruppo sta insieme per questo. Grazie al nostro modo di affrontare i problemi e le opportunità siamo sempre più soggetti, siamo interessanti per le istituzioni.

 

Eppure qualcosa ancora non funziona alla perfezione: sbaglio?

Nella filiera, nonostante un percorso per molti versi positivo, si guarda ancora troppo all'interesse della singola impresa piuttosto che del gruppo. Certo è la legge del mercato ma dobbiamo evitare le punte più estreme se vogliamo in futuro mantenere in vita sia le imprese agricole che le industrie. 

 

Come si fa?

Non bisogna guardare le cose troppo da vicino; fare valutazioni economiche anno per anno. Sarebbe necessario un meccanismo più cooperativo e meno speculativo. Questo sistema darebbe benefici maggiori a tutti i soggetti. E' una strada maestra che dobbiamo tener presente. Non si può dar spazio solo al management, che ovviamente guarda solo al risultato economico immediato, ci vuole qualcuno che guardi in avanti.

 

Per ottenere cosa?

A noi interessa guadagnare nel lungo periodo, per questo parlo di maggiore cooperazione anche se è fuori discussione che il mercato debba privilegiare la professionalità.

 

In concreto?

Le faccio l'esempio delle sementi. L'incidenza del loro costo, in Italia, è molto rilevante. Il piu' alto in Europa. Dobbiamo rompere le speculazioni che ci sono creando alternative attraverso un filiera piu' corta.

 

Ma in Italia nessuno produce seme. E' una vecchia storia!

Dobbiamo avere più pataticoltori sementieri. 

 

La liberalizzazione dei mercati della nuova PAC come incide sul settore pataticolo?

Lo scenario nuovo è importante. Fino ai ieri grazie ad un'economia protetta, non esisteva alcun confronto con il mercato globale e questo si ripercuoteva anche sul nostro comparto, nonostante il fatto che la patata non abbia mai avuto una organizzazione comune di mercato. 

 

Per quale ragione?

Perché gli olandesi, i maggiori produttori, non l'hanno mai ritenuta necessaria. Sono sempre stati convinti che i protezionismi non avrebbero premiato la professionalità. Da questa scelta noi abbiamo tratto benefici perché il settore è stato ed è più competitivo essendo libero dalla rete di protezione comunitaria ma avendo potuto e potendo contare su risorse nazionali legate a progetti che premiano il sistema imprenditoriale.

 

Ma non siete preoccupati della concorrenza ora che l'Unione europea è così grande?

Le preoccupazioni che avevamo quando i paesi dell'Europa dell'Est hanno aderito all'Unione europea sono svanite. Anche loro devono diversificare le produzioni e anche per loro il costo del trasporto incide moltissimo. Noi, in Italia, abbiamo prodotti freschi 10 mesi l'anno.

 

A cura di Agrapress - Letizia Martirano