Alla zootecnia intensiva, che meglio sarebbe definire professionale, si attribuiscono responsabilità nell'emissione di gas climalteranti superiori a quelli dell'industria, per non parlare del consumo di acqua o della deforestazione conseguente alla necessità di liberare spazi per allevamenti e coltivazioni.
Le cose sono ben diverse, come ben sanno gli addetti ai lavori, che per troppo tempo hanno preferito restare in silenzio, sperando che la verità alla fine potesse emergere. Ma si sa, anche le bugie più evidenti, a forza di essere ripetute sembrano verità.
Mangimi ed economia circolare
Così Assalzoo, l'associazione che riunisce le imprese mangimistiche italiane, ha deciso, finalmente, di dire la sua nel tentativo di contrastare le fandonie con i numeri della realtà. E per farlo ha riunito in un webinar un esperto di impatto ambientale (Massimo Marino, ingegnere ambientale), un rappresentante degli allevatori (Giovanna Parmigiani, allevatrice e dirigente di Confagricoltura), un responsabile della distribuzione organizzata (Claudio Mazzini, Coop Italia).A fare gli “onori di casa” il presidente di Assalzoo, Marcello Veronesi, che ha sottolineato come ll tema ambientale sia da tempo all'attenzione dell'industria mangimistica, come testimonia la pubblicazione del “Report ambientale 2020”, dove si analizzano gli impatti ambientali del settore.
Per poi ricordare come da sempre la produzione di alimenti per il bestiame sia ispirata ai concetti di economia circolare, per valorizzare tutti i nutrienti non idonei all'alimentazione dell'uomo e altrimenti destinati a essere sprecati.
Non a caso i primi impianti per la produzione di mangimi sono sorti, a inizio del secolo scorso, a fianco dei molini, dei quali utilizzavano quanto restava dalla molitura.
Da allora i progressi sono stati enormi, ottimizzando le diete e rendendo più efficienti le produzioni animali.
Il che si traduce in minore impatto ambientale, maggior benessere animale, migliore qualità dei prodotti finali.
I progressi
Un esempio del progresso realizzato sul fronte della sostenibilità degli allevamenti e del modello produttivo italiano lo ha indicato Lea Pallaroni, Segretario generale di Assalzoo.Per spiegarlo ha preso come esempio la produzione di latte. Ciò che negli anni 70 e 80 si produceva con due vacche ora lo si fa con una e in termini di impatto ambientale la riduzione è di oltre il 50%.
Questa efficienza del sistema intensivo, erroneamente oggetto di critiche, in realtà apporta un beneficio all'ambiente ed è il risultato della scienza, quella applicata alla genetica, all'alimentazione e al management degli allevamenti. Ed esempi come questo se ne possono fare in tutti i settori della zootecnia.
L'aumento della produttività negli allevamenti dal 1975 al 2010
(Fonte: © Assalzoo - Report Ambientale 2020)
Ambiente e mangimi
Con questo non si vuol dire che allevare, come pure produrre mangimi, non abbia un impatto sull'ambiente.Solo evidenziarne il reale contributo, come ha fatto Massimo Marino, riportando i dati di una ricerca che ha calcolato in soli 40 kg di CO2 le emissioni per ogni tonnellata di mangime prodotto.
Assai meno di quanto contribuiscano altre fasi della filiera.
Mentre resta alto in tutti i comparti, con prevalenza di quello bovino, l'utilizzo di ex prodotti alimentari che non troverebbero impiego se non nell'alimentazione zootecnica. Cosa che contribuisce a elevare la sostenibilità delle produzioni mangimistiche.
Il ruolo della zootecnia
Se il settore industriale, grazie anche al largo impiego delle energie rinnovabili utilizzate nei processi produttivi, può vantare un eccellente grado di sostenibilità, qual è la situazione sul fronte dell'allevamento?Quesito al quale ha risposto Giovanna Parmigiani, citando i recenti dati diffusi da Ispra, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Eccone alcuni: solo il 10% delle polveri sottili PM10 provengono dall'agricoltura, mentre le emissioni di ammoniaca sono calate del 23%.
Risultato, la produzione di gas serra dei quali è responsabile l'agricoltura è pari al 7,1% del totale, meno di qualunque altro settore, quello energetico, del trasporto o dell'industria.
Lo ha dimostrato anche quanto avvenuto durante il 2020 con il blocco delle attività a causa della pandemia.
L'agricoltura non si è fermata, ma i gas serra sono calati del 9,8%.
Una conferma di quanto siano infondate le accuse rivolte a chi alleva e coltiva, che al contrario andrebbe ringraziato per aver ridotto l'uso di agrofarmaci e di antibiotici, come pure di aver aumentato il benessere animale.
Attenti al consumatore
Passi avanti e miglioramenti che il mercato sembra disposto a premiare, a dispetto della costante rincorsa al prezzo più basso sugli scaffali della distribuzione organizzata.L'emergenza sanitaria, ha ricordato Claudio Mazzini, ha favorito alcuni cambiamenti nel comportamento di spesa.
La segmentazione del consumatore appare oggi più marcata, con un aumento degli acquisti che vantano una garanzia etica e una maggiore sostenibilità.
Resta una distinzione fra il diverso potere di spesa delle fasce di consumatori, ma per tutti è irrinunciabile la qualità, che va premiata laddove offre standard superiori.
Parola d'ordine, comunicare
Ora la difficoltà è comunicare questi valori al consumatore, frastornato da molte informazioni a volte contraddittorie.Il tutto mentre a Bruxelles si discute delle innovazioni da apportare alle politiche agricole nel solco delle strategie dettate dal Green new deal e dai progetti ispirati dal Farm to fork.
Sfide che vedono la zootecnia italiana in una posizione di vantaggio e che pertanto andrebbe opportunamente difesa nelle sedi comunitarie.
Molti i fronti su quali è necessario impegnarsi, dalle proposte di etichettatura che penalizzano il made in Italy alle pressioni tese a frenare il nostro modello di allevamento.
Alle voci degli agricoltori europei, che nei giorni scorsi hanno sottolineato al legislatore europeo le contraddizioni delle proposte comunitarie, si aggiunge ora la voce di Assalzoo. Ma occorrerà insistere ancora e all'occorrenza alzare i toni.