Partiamo dal primo, quello normativo, con le proposte di modifica all'attuale sistema di timbratura.
Già oggi ogni uovo posto in commercio riporta sul guscio un codice alfanumerico che fornisce molte informazioni.
Il primo numero che si incontra individua la tipologia di allevamento. Il numero due, ad esempio, informa che si tratta di un allevamento a terra, mentre il 3 quello in gabbia.
Segue poi una sigla per indicare il paese di provenienza. IT, come intuibile, sta per provenienza italiana e sono la maggior parte, visto che la produzione italiana, 12,6 miliardi di uova per anno, è quasi sufficiente a soddisfare le esigenze del consumo interno.
Poi un'altra serie di numeri e lettere individuano il comune e la provincia di provenienza e persino l'allevamento di deposizione.
Oggi tutte queste informazioni, non sempre di immediata comprensione se non si conosce come decifrarle, vengono apposte nei centri di imballaggio.
Si tratta dei luoghi dove le uova confluiscono per essere calibrate e confezionate per giungere sui mercati di destinazione.
Le proposte
Alcune mozioni presentate alla Camera dei deputati vorrebbero modificare sia la tipologia della timbratura, per renderla più "trasparente", sia il luogo dove viene apposta.Non più i centri di imballaggio, dove si teme possano avvenire "scambi" di provenienza, ma direttamente negli allevamenti di deposizione.
Si otterrebbe, questo l'obiettivo, una maggiore garanzia su origine e caratteristiche delle uova.
A favore di questa scelta si è espressa Unaitalia, l'associazione che rappresenta gran parte delle aziende del settore avicolo.
Fra le modifiche suggerite, anche l'abolizione della deroga oggi concessa alla timbratura delle uova destinate alla lavorazione industriale.
Cancellare questa possibilità consentirà di evitare che siano erroneamente marchiate uova destinate alla trasformazione invece che al consumo diretto.
Alla ricerca della gallina
Mentre si attende che l'iter parlamentare prosegua, al momento è solo agli inizi, già è pronta una tecnologia destinata a modificare profondamente il ciclo di produzione delle uova da cova, quelle destinate alla produzione di pulcini.Per produrre uova, è superfluo dirlo, occorrono galline. Accade così che alla schiusa delle uova è necessario dividere i soggetti maschi dalle femmine.
Negli anni 60, agli albori della moderna avicoltura, questo compito veniva svolto da personale esperto (i giapponesi erano fra i migliori in questo campo) capace di sessare i pulcini già alla nascita.
Poi il progresso genetico ha favorito il dimorfismo sessuale, consentendo una facile distinzione fra maschi e femmine in base al colore del piumaggio.
La "strage" dei maschi
Mentre per le femmine si apre la via dell'allevamento per divenire ovaiole, per i maschi non sono state trovate soluzioni efficienti.Ottenuti da una selezione orientata alla produzione di uova piuttosto che di carne, i galletti si sono dimostrati incapaci di reggere il ritmo necessario ad una crescita che ne rendesse economico l'allevamento.
Per loro, sino a ieri, non c'era che la via dell'abbattimento alla nascita. I numeri sono importanti, dai 4 ai 6 miliardi nel mondo, secondo alcune stime. Necessario, anche se eticamente discutibile oltre che costoso.
Nuove tecnologie
A cambiare tutto è arrivata una recente innovazione tecnologica che provvede con un laser a praticare un minuscolo forellino sul guscio, ininfluente per gli esiti della successiva cova.Da questo forellino si preleva una microgoccia di liquido allantoideo dell'interno dell'uovo.
Una reazione chimica di rapida applicazione consente di evidenziare la presenza di estrone solfato, un estrogeno femminile. Si ha così conferma che il pulcino che ne uscirà dopo 21 giorni sarà di genere femminile.
Non solo si annulla la necessità di eliminare i pulcini maschi, ma si rende più razionale tutto il sistema di cova, dove entreranno solo le uova "giuste", aumentando l'efficienza dei centri di cova e con un sensibile risparmio energetico per ogni pulcino nato.
Sostenibilità
In attesa che le nuove tecnologie si diffondano (in Germania già lo si applica in alcune realtà), in Italia c'è chi si è impegnato per un'avicoltura sostenibile scegliendo una strada diversa e forse più "coraggiosa".I pulcini maschi non sono sacrificati, ma allevati sino all'età adulta e venduti come galletti, a dispetto delle loro scarse performance produttive.
Mentre le uova ottenute dalle "sorelle" ovaiole sono commercializzate con una meritata etichetta di sostenibilità. Si spera premiata nelle scelte dei consumatori.