“Ci stiamo concentrando su alcune linee di interesse: una riguarda la sostenibilità delle produzioni, dal risparmio idrico alla riduzione dell’impiego energetico, piuttosto che del packaging, ma anche verso il marketing e l’economia, per cercare di prevedere l’andamento dei prezzi del latte e dei prodotti lattiero caseari, sempre più influenzati da un insieme di fattori complessi e connessi fra loro”.
Parola di Leo Bertozzi, 61 anni, per 12 anni direttore del Consorzio del Parmigiano-Reggiano e da due anni presidente della sezione italiana della Fil, la Federazione Internazionale di Latteria, organizzazione privata no-profit fondata nel 1903 che rappresenta gli interessi di quanti sono attivi a livello internazionale nel contesto lattiero caseario. A oggi sono 46 i Paesi che aderiscono a Fil.

AgroNotizie ha rivolto alcune domande a Bertozzi nel corso del 4° Dairy Forum di Clal, a Bardolino (Verona), che vede la partnership di Fieragricola di Verona.

Presidente Bertozzi, innanzitutto che cosa fa la Fil?
“La Fil nasce per armonizzare a livello internazionale il contesto normativo nei settori della produzione, trasformazione, commercio del latte a livello internazionale. Inoltre, si pone l’obiettivo di ufficializzare le metodiche analitiche per definire i prototipi di grasso, proteine, latte intero, scremato, polveri, eccetera. La sede della Fil è a Bruxelles”.

Come vede il mercato del latte a livello internazionale?
“Bene, perché il latte è un prodotto che, a differenza di altri come la carne o l’alcol, non incontra ostacoli di natura sociale o religiosa, per cui di per sé è molto semplice il sistema del mercato: basta mantenere in equilibrio la domanda e l’offerta a livello globale”.

Detta così sembra facile.
“Sì, lo so. In molte zone del mondo la produzione di latte dipende molto dalla presenza di soia e proteoleaginose, servono forniture sufficienti, altrimenti entrano in tensioni alcuni fattori necessari per produrre. Il mercato è senz’altro interconnesso a livello globale, ma vediamo che nel mondo si sta avviando un processo di concentrazione diffuso. Vi sono realtà in Arizona che hanno 10mila vacche, aziende in Cina aziende con 15mila bovine. Ancora, le aziende di trasformazione lavorano 10-15mila tonnellate di latte”.

E in Italia?
“In Italia entrano in gioco fattori ulteriori. Comunque complessivamente il mercato lo vedo bene, se sappiamo valorizzare le nostre produzioni Dop, mantenendone specificità e caratteristiche distintive, che sono alla base di un prodotto specifico, con caratteristiche qualitative superiori”.

Come è cambiata la ricerca nel settore lattiero caseario?
“Vediamo che i grandi gruppi sono ormai orientati a farsi le ricerche in casa, concentrandosi su quanto serve loro per vendere di più e meglio. Questo ha fatto sì che in alcuni casi le imprese private abbiano fatto venire meno il ruolo dell’ente pubblico o delle associazioni. Ma su questo aspetto bisogna riflettere: è un bene? O piuttosto non si corre il rischio che poche aziende possano decidere tutto?”.

Cosa manca in Italia?
“I centri di ricerca, appunto. La nostra forza sono i prodotti tradizionali, ora dovremmo affiancare agli sforzi per l’immagine e la promozione dei nostri prodotti anche ricerche specifiche per migliorare le tecnologie di processo. Se non dovessimo farlo, dovremmo soggiacere alle tecnologie importate dall’estero”.

Uno dei problemi per chi produce latte è di ottenere margini di redditività, oggi molto sbilanciati verso la grande distribuzione organizzata.
“Sì, è esatto. Ma non in tutto il mondo è così. L’esperienza indiana ci dice che è possibile avere alternative efficaci per gli allevatori, valorizzando il consumo di latte. Forse è arrivato ili momento di abbandonare i format distributivi iper-concentrati, giganti, i cui modelli sono stati importati dagli Stati Uniti e che, abbiamo visto, tentano di fagocitare la maggior parte dei margini di guadagno? Perché a tutto ciò si riconnette anche una questione di sostenibilità ambientale, oggi al centro delle ricerche di Fil, con un gruppo di lavoro internazionale specifico”.

Cioè?
“Grandi centri significa spingere molto sul packaging, aumentare sostanze e additivi per migliorare la shelf life dei prodotti. Significa consumi di energia e petrolio per i trasporti, la catena del freddo. Non dico di ritornare al km zero, ma ripensare a nuove formule di mercato di prossimità”.

Come si sta muovendo la Fil sul tema della sostenibilità delle produzioni?
“È partito un grande confronto sui temi delle risorse idriche, dell’energia, dei rifiuti. Uno degli obiettivi è ridurre il peso e modificare la natura degli imballaggi per renderli compatibili con un nuovo corso meno impattante in termini economici ed ambientali. Ma puntiamo anche a ridurre l’utilizzo dell’acqua nelle fasi di trasformazione. Ci sono circa 1.200 esperti nella Fil in tutto il mondo, stanno lavorando per avere parametri comuni. Una delle prime necessità è infatti definire un metro di misura comune per definire quanta acqua serve per produrre un chilogrammo di formaggio. A capo del team c’è un italiano, Pier Cristiano Brazzale”.

Quanto al mercato, come si muove Fil?
“Individuando strategie per ridurre la volatilità e prevedere quali potranno essere le dinamiche future del prezzo del latte. Parliamo di un prodotto che è molto soggetto a variazioni, per questioni climatiche, come è stato un anno a causa della siccità in Nuova Zelanda, o come il fattore quote latte: ci attendiamo un aumento di produzione con la fine del regime contingentato dal prossimo 1° aprile. I mercati devono prepararsi ad affrontare nuove dinamiche, così come confrontarsi su modelli diversi”.

Cioè?
“Pensiamo all’Italia, esportatore di formaggi Dop di qualità. Negli accordi bilaterali Ue-Usa, l’Italia dovrà fare in modo di assicurare che le produzioni a marchio siano tutelate, visto che Stati Uniti e Nord America sono i principali destinatari dei nostri prodotti. La Cina, al contrario, è un grande Paese importatore, tutti guardano al mercato asiatico con elevato interesse, ma non si può sottovalutare l’aspetto dei cambi monetari, che influiscono sugli scambi. Ancora, guardiamo alla crisi Ucraina-Russia, con conseguenze dirette anche sugli scambi commerciali. La volatilità interessa tutti, Fil se ne occupa con spirito di servizio”.

All’interno della Fil quali sono i Paesi più attivi?
“Direi Nuova Zelanda, Australia, Usa, Canada, mentre in Europa, Francia, Danimarca, Germania. Anche la Cina si sta rivelando molto dinamica. Hanno la necessità di crescere in fretta”.