Ancora una manciata di lustri e la popolazione mondiale toccherà quota 9 miliardi. Le previsioni sono quelle dell'Onu e si spingono sino al 2040. E ci si interroga su come accontentare due miliardi in più di bocche da sfamare. Il tema non è di oggi. Negli anni '70, con una popolazione mondiale di “soli” 4 miliardi già ci si poneva lo stesso interrogativo e molti preconizzavano imminente lo scoppio della “overpopulation bomb”. Una catastrofe a base di fame e miseria. Tanto che si inventarono le SCP (single cell protein), proteine ottenute dalla coltivazione di batteri su substrati di idrocarburi. In pratica bistecche cresciute sul petrolio. Fiorirono gli studi su questo argomento che tenne impegnati a lungo i ricercatori del settore. Poi le Scp tornarono nel cassetto e di loro ci si dimenticò (non prima di averle accusate di ogni nefandezza, sanitaria e culinaria). La temuta penuria di cibo, infatti, aveva trovato risposta nel prodigioso crescere dell'agricoltura, che nel volgere di pochi anni seppe spingere le produzioni a livelli prima impensabili. Merito dei progressi in particolare nella genetica vegetale e animale, oltre che nelle tecniche di coltivazione e conduzione degli allevamenti.
Più cibo
Così lo spettro della fame (mai scomparso però dalle aree povere del pianeta) per lungo tempo è stato messo da parte. Salvo ripresentarsi ora in modo persino più prepotente. Perché domani saremo di più, ma già oggi in molte parti del mondo migliorano (per fortuna) le condizioni economiche e con esse aumenta la richiesta di cibo, carne in particolare. Ma produrre carne in più non è né facile né rapido. A complicare il quadro ci si mettono poi le accuse che agli allevamenti vengono mosse da ambientalisti e movimenti “verdi”. Gli animali, a torto o a ragione, vengono considerati inefficienti nel produrre proteine e in competizione con l'uomo nei confronti di quelle vegetali. Che fare, dunque? Sollecitati da questo importante interrogativo molti ricercatori si sono sbizzarriti nel trovare nuove soluzioni, aiutati in questo dalle nuove conoscenze in campo biologico e non solo.
L'hamburger in provetta
Molto attivi in questo settore i ricercatori dell'Università di Maastricht e fra questi Mark Post che in occasione dell'annuale incontro della Associazione americana per il progresso delle scienze (Aaas), che si è tenuto in questi giorni a Vancouver negli Usa, ha reso noti i risultati già ottenuti nello scorso ottobre coltivando cellule staminali di bovino. Un processo grazie al quale Mark Post conta di realizzare composizioni idonee ad essere presentate come hamburger. La ricerca ha richiesto al momento investimenti notevoli (250mila euro per una “porzione” di hamburger), costi sostenuti da un finanziatore che ha preferito per ora restare nell'ombra. L'importanza del mercato della carne nel mondo (circa 450 miliardi di dollari) ha poi convinto i sostenitori di Post a sponsorizzare non solo le ricerche, ma anche un evento destinato a colpire la fantasia e i media. Sarà infatti un rinomato chef britannico (Heston Blumental) a mettere in padella il primo hamburger nato in provetta. Il nome del “fortunato” assaggiatore non è ancora noto. E c'è da credere che i volontari non siano poi molti...
La bistecca verde
A Vancouver non si è parlato solo delle ricerche di Post per risolvere il problema dell'approvvigionamento di proteine nel mondo. Un percorso analogo è stato intrapreso da Patrick Brown, dell'Università di Stanford, negli Usa, la cui “bistecca” è però di origine vegetale, ma di composizione analoga alla carne e, a quanto afferma questo ricercatore, con la stessa carne condivide consistenza e sapore. Una tecnologia che a parere di Brown potrebbe essere allargata alla produzione di latte o di altri prodotti di origine animale. La scelta “vegetariana” di Brown parte dalla constatazione che le quattro colture vegetali più diffuse e cioè mais, frumento, riso e soia, possono da sole fornire proteine sufficienti a sfamare il mondo del futuro. Il limite, a suo dire, sta nella scarsa disponibilità di terreno a disposizione di queste colture (solo il 4%), mentre la maggior parte dei terreni coltivabili (circa il 30%) è occupato dai pascoli e dalle colture destinate all'alimentazione degli animali. Invertendo le proporzioni, questa la tesi a sostegno della “bistecca vegetale”, il problema si risolve.
Inutili preoccupazioni
Staremo a vedere quali saranno gli sviluppi concreti delle ricerche in corso, magari destinate a finire nel dimenticatoio come le Scp degli anni '70. O forse saranno capaci di dare una efficace risposta all'alimentazione di un mondo troppo affollato. Prematuro e inutile ci pare oggi ogni giudizio, come quelli negativi che con prontezza degna di miglior causa si sono levati in alcuni ambienti dell'agricoltura italiana. E' assai difficile che domani le nostre stalle siano costrette a competere con i laboratori olandesi o di qualunque altra parte del mondo. E' certo invece che si debbano fare i conti con i tagli che arriveranno dalla riforma della Pac. Quelli sì che saranno un problema, specie per gli allevamenti da carne italiani.