Maurizio Savi, dell’ufficio comunicazione dell’ospedale San Raffaele di Milano, apre con uno slogan: la ricerca al letto del paziente. La trama del film, in fondo, è per il San Raffaele storia di tutti i giorni. E non solo perché l’Italia è all’avanguardia nella ricerca oncologica. “Si vorrebbe invertire la tendenza per cui il nostro Paese è divenuto esportatore di cervelli e importatore di piedi” – auspica Savi, riferendosi all’export di scienziati e all’import di calciatori. E aggiunge: “L’interazione multidisciplinare tra ricerca di base e clinica, diagnosi e trattamento della malattia è indispensabile per lo sviluppo di nuovi farmaci e cure per combattere la malattia”.
Il film, realizzato da Bayer in stretta collaborazione proprio con il San Raffaele, dovrebbe muoversi su importanti reti televisive, prestandosi alla raccolta fondi via SMS durante le proiezioni. Per il San Raffaele rappresenta quindi un’importante iniziativa di raccolta fondi legata al progetto Challenge in Oncology. La nuova sfida dell’Istituto è infatti la realizzazione di una struttura interamente dedicata alla ricerca e cura di tutti i tumori, che si differenzia dalle istituzioni già presenti sul territorio nazionale non solo per la capacità unica di integrare didattica, clinica e ricerca ma anche per il tipo stesso di ricerca intrapresa cioè di tipo genetico molecolare e cellulare. Ettore Pasculli, regista del film e padre del cinema digitale italiano, confessa le difficoltà iniziali nel tradurre in chiave cinematografica argomenti così delicati e complessi come la malattia e la ricerca scientifica. La denuncia diventa molto aspra sulle zavorre che gravano il mondo accademico e della ricerca: troppi nepotismi, troppe baronie e poca meritocrazia. Le giovani leve trovano spesso difficoltà insormontabili nel proseguire le proprie attività scientifiche.
I contenuti del film sono stati sviluppati con la collaborazione dell’equìpe medica del San Raffaele, come Fabio Ciceri, primario di ematologia e Chiara Bonini, responsabile del laboratorio di ematologia sperimentale. Il loro apporto è stato fondamentale per la costruzione della ricerca messa in atto dal protagonista. Il contenuto scientifico del film si basa infatti su un lavoro che l’Istituto sta sviluppando e che consiste nel trasferimento di geni nei linfociti T attraverso dei vettori di origine virale, che fungono da trasportatori dei geni. I linfociti T sono dotati di un recettore, una molecola diversa ed unica per ogni linfocita: la T Cells Receptor. Rari linfociti hanno un tipo di TCR che permette loro di riconoscere con elevata affinità e distruggere la leucemia. Il gene di questo T cell receptor diretto verso la leucemia potrebbe, se isolato in laboratorio, e trasferito in altri linfociti costituire una componente molto importante nel riconoscimento e nella cura delle leucemie. Si tratterebbe di sfruttare una capacità che c’è già in natura, ovvero potenziare attraverso la terapia genica i linfociti T e infonderli ad un malato in modo che riconoscano la malattia. Questa ricerca è ancora in fase sperimentale e non ancora testata su pazienti.
Nel film, un giovane ricercatore è obbligato a emigrare in Germania per sviluppare questa sua idea. Tornerà, grazie all’interessamento di un centro di ricerca (il San Raffaele) e potrà portare a compimento con successo i proprio studi. La trama si arricchisce di aspetti umani, dal momento che giunge anche l’amore per una campionessa di pattinaggio, ammalata proprio di leucemia.