La crescita stellare dei costi produttivi e il dimezzamento dei prezzi praticati sui campi rende ormai poco conveniente produrre cereali in Italia. “Un'azienda cerealicola con 20 ettari di terreno - ha affermato il presidente della Cia Giuseppe Politi - sviluppa un valore alla produzione di circa 30 mila euro l'anno, compresi gli aiuti comunitari pari a 350 euro a ettaro. Per arrivare alla raccolta del grano occorre aver investito almeno un 25 per cento di questo valore in sementi, fertilizzanti, macchinari. E, quindi, anche nell'ipotesi di una stagione climatica favorevole, il coltivatore avrà a fine anno un capitale di 20 mila euro, da cui deve ricavare reddito per sè e per i braccianti. C’è da chiedersi, dunque, se vale la pena produrre grano in Italia e parlare di autosufficienza nelle materie prime di pane e pasta?”.
Per il settore cereali si presenta uno scenario sempre più grave. Le quotazioni del grano duro, ad esempio, sono oggi inferiori a quelle di vent’anni fa. Un quintale può essere pagato anche 14-15 euro. La media si aggira in ogni modo intorno ai 17-20 euro. I rincari registrati dai mercati all’inizio del 2008 sono rientrati immediatamente e adesso - avverte la Cia - assistiamo ad una flessione che si aggira attorno al 40%, con punte per il frumento anche del 50%.
Il maltempo e l’ingresso in Italia di notevoli quantità di produzioni (grano, sia duro che tenero, e mais) da parte di paesi come l’Ungheria, la Russia e il Messico a prezzi stracciati - sottolinea la Cia - hanno poi reso la situazione sempre più precaria. Sintomatico quello che è avvenuto nei mesi scorsi in Puglia, dove nei porti regionali sono stati scaricati smisurati quantitativi di grano di provenienza misteriosa e di dubbia qualità. E tutto ciò si è tradotto in un danno per i nostri produttori e per i consumatori che saranno costretti ad acquistare prodotti scadenti.
Per questa ragione la Cia sottolinea la necessità di un riconoscimento della qualità del grano italiano che spesso l’industria (pasta e panificazione), con una visione miope, non vuole dare. Da qui l’esigenza di costituire al più presto una seria interprofessione del settore, che, oltretutto, sconta di un’insufficiente organizzazione. E chiede al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali una rapida approvazione del Piano di settore cerealico.
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