L’Australia potrebbe a breve seguire l’Europa sulla strada dei dazi imposti alle importazioni di biodiesel dagli Stati Uniti.

Intanto, l’Australian Customs and Border Protection Service, l’Agenzia delle dogane australiana, ha avviato un’inchiesta in seguito ad alcune denunce in merito a procedure di vendita sul mercato interno che favoriscono la concorrenza sleale con i produttori di biodiesel locali.

Non è la prima volta che il biodiesel americano si trova al centro di accuse di ‘dumping’ in quanto è venduto sui mercati di importazione a un prezzo molto competitivo, spesso più basso o addirittura inferiore al costo delle materie prime, come avveniva prima dell’imposizione dei dazi sul mercato europeo. Ciò è possibile per i generosi incentivi di cui godono i produttori americani, che possono vendere così a prezzi stracciati non solo a casa propria ma anche in altri paesi.

Dopo quello europeo, potrebbe dunque scoppiare un nuovo caso in Australia in seguito alle denunce di dumping di una ditta locale Biodiesel Producers, che accusa i prodotti americani di perturbare fortemente il mercato interno, a danno dei produttori locali.

Secondo le denunce, ad aggravare la situazione, anche il fatto che i produttori di biodiesel Usa non beneficiano solo di un incentivo interno (un abbuono di imposta sul reddito pari a 1 dollaro per gallone, ovvero 30 cents al litro), ma sono ammessi anche allo sconto fiscale di 0,40 dollari australiani (0,35 dollari statunitensi) previsto in Australia per i carburanti puliti sia di produzione locale che importati fino a fine giugno del 2011.

Una situazione ‘pesante’ per i produttori di biodiesel che cominciano a invocare dazi sull’import di oltreoceano, sull'esempio dell’Unione europeo nel marzo 2009.

L’Ue ha infatti deciso di imporre sia dazi antidumping sia dazi antisovvenzioni dopo l’inchiesta sul B99 (il biodiesel americano con il 99,9 per cento di biocarburante) condotta in seguito alla denuncia dell’Ebb-European  biodiesel board, che rappresenta i produttori europei di biodiesel.