Bioenergie si o bioenergie no? Le bioenergie vanno bene solo se prodotte in casa d'altri? Levano il pane dalla bocca dei poveri, o danno al mondo intero nuovi sbocchi commerciali utili proprio per fronteggiare la povertà delle aree più disagiate del pianeta? Insomma, di fronte a problemi come il caro petrolio, l'inquinamento atmosferico, l'effetto serra e la conseguente desertificazione di ampie aree geograifche, possono essere le nursery di laboratorio delle grandi compagnie mondiali la soluzione a molti dei nostri mali?
Paolo Marchesini - responsabile europeo per la comunicazione di DuPont Corporate - porta il proprio contributo, raccontando in una breve intervista la posizione di DuPont sulle bioenergie e quanto fino ad ora conseguito dal punto di vista della ricerca scientifica e della produzione industriale.
Dr. Marchesini, quali sono gli elementi che distinguono le bioenergie di "prima" da quelle di "seconda" generazione?
I biocarburanti definiti come di “prima generazione” sono quelli già attualmente prodotti su larga scala, a partire da derrate agricole di cui viene utilizzata la frazione a più alto contenuto energetico. Nel caso del bioetanolo viene, per esempio, usata la parte rappresentata dall’amido contenuto nella granella, che viene poi fatta fermentare fino alla produzione dell’alcool.
I biocarburanti di "seconda generazione" saranno disponibili sul mercato nel prossimo futuro e rappresentano una nuova frontiera nella possibilità di ottenere la produzione di detti combustibili a partire dalla frazione fibrosa della pianta. Nel caso del mais usato per la produzione di etanolo si impiegheranno per esempio gli zuccheri ottenuti a partire dalla fibra delle foglie e dal fusto della pianta. Tutto ciò permetterà una maggiore flessibilità in termini di colture da utilizzare, ma anche valorizzerà il potenziale di specie quali il mais, che oltre ad essere un grande produttore di granella, è anche un eccezionale produttore di fibra. In tale processo DuPont si pone in una posizione di leadership, ulteriormente rafforzata dalla recente firma di un accordo di partnership con Danisco. La joint venture ha collaborato con la fondazione per la ricerca dell’Università del Tennessee, tramite Genera Energy LLC, per lo sviluppo di un impianto pilota e della filiera agronomica per il panìco verga, o switchgrass, nel Tennessee. L’impianto convertirà materie prime non alimentari, fra cui tutoli di pannocchie e switchgrass, in etanolo per consentirne l’introduzione sul mercato senza la necessità di ricorrere a prove su scala dimostrativa. Si prevede che l’impianto sarà operativo nel 2009.
Accanto all’innovazione nella matrice vegetale utilizzata per la produzione di biocarburanti, viene poi a collocarsi l’innovazione nella tipologia di biocarburante che viene prodotto. In questo contesto, un esempio è lo sviluppo che DuPont sta effettuando del biobutanolo, un innovativo biocarburante che viene a risolvere molti dei limiti insiti nel tradizionale bioetanolo attualmente in fase di commercializzazione.
Un passo quindi interessante. Ma quali sono - in sostanza - i vantaggi del biobutanolo rispetto al bioetanolo?
Il biobutanolo presenta alcuni chiari vantaggi rispetto al bioetanolo, così riassumibili:
➢ Può essere facilmente mescolato alla benzina, data la sua bassa tensione di vapore.
➢ Ha un contenuto energetico più alto dell’etanolo, senza quindi compromettere in maniera significativa l’efficienza del veicolo:
Bioetanolo = 21.1-21.7 MJ/L (megajoules per litro)
Biobutanolo = 26.9-27.0 MJ/L
Benzina = 32.2-32.9 MJ/L
➢ Può essere mescolato a più alte concentrazioni dell’etanolo in motori standard, arrivando al 10% nel caso della benzina in Europa.
➢ E’ ben adattato all’attuale tecnologia motoristica.
➢ È meno suscettibile alla separazione in presenza di acqua rispetto alla miscela bioetanolo/benzina, rendendone possibile quindi l’uso nell’esistente rete distributiva delle industrie petrolifere.
Differenze importanti, vedo. Ma ci sono differenze nei processi produttivi di fabbricazione tra bioetanolo e biobutanolo?
La produzione del biobutanolo si avvale di una specifica tecnologia applicata nei processi di fermentazione degli zuccheri di proprietà di DuPont, la quale ha una grande facilità di introduzione di impianti di bioetanolo di prima generazione, attualmente già operativi.
Ciò di fatto determina la possibilità di un passaggio dalla produzione di bioetanolo a quella di biobutanolo in maniera veloce, senza costi eccessivi e con immediati benefici.
E ciò non guasta. Anzi. Una domanda "da agronomo" ora: ci sono differenze tra le specie vegetali coltivate per il biobutanolo rispetto a quelle per il bioetanolo? Se si, quali?
La produzione di biobutanolo può essere effettuata a partire dalle stesse matrici vegetali già attualmente impiegate per la produzione di bioetanolo. Colture ampiamente diffuse quali la canna da zucchero, la bietola da zucchero, il mais, il frumento, la cassava ed il sorgo sono tutte eccellenti per la produzione di biobutanolo, e nel futuro, con lo sviluppo commerciale di biocarburanti basati sulla trasformazione di cellulosa, sarà possibile l’utilizzo anche di colture erbacee a crescita veloce come pure di co-prodotti agricoli (come gli stocchi di mais).
Un anello importante e critico nella filiera dei biocarburanti è rappresentato dalla rete distributiva. Pioneer sta svolgendo azioni o sta stringendo collaborazioni al fine di semplificare la distribuzione 'a valle' della propria produzione?
Pioneer opera in modo da creare le migliori condizioni per la valorizzazione delle colture ottenute a partire dalle proprie sementi. E’, infatti, cruciale assicurare la massima redditività per l’agricoltore, sia massimizzando la quantità di raccolto ottenuta per unità di superficie (quindi la resa), sia massimizzando il valore delle proprie produzioni.
Il valore è chiaramente un parametro legato alla capacità della filiera di poter riconoscere il plus derivante da una determinata produzione, e di poter assicurarsi quantitativi consistenti ed omogenei di tali produzioni. In tal senso gioca quindi un ruolo chiave l’attività di Pioneer nel mettere in relazione tutti gli attori di filiera in modo che si crei quella comunicazione di tipo tecnico e commerciale atta a garantire il successo della filiera dei biocarburanti stessi.
DuPont e BP hanno annunciato ultimamente una partnership volta a sviluppare e commercializzare il biobutanolo, che punta ai percorsi metabolici avanzati dell’ 1-butanolo nonché ad altri isomeri di biobutanolo con un più elevato numero di ottani. Le due società hanno anche annunciato che i test eseguiti su questi biocarburanti avanzati dimostrano che l'utilizzo di biobutanolo permette di incrementare la quantità di biocarburanti nelle miscele di benzina, superando così l’attuale limite del 10% posto dall’etanolo, senza compromettere le prestazioni.
Dati incoraggianti quindi. Nell'ambito della sperimentazione, il biobutanolo è già stato impiegato in macchinari agricoli? Con quali risultati?
Il biobutanolo è stato inizialmente valutato a livello sperimentale sui motori a combustione attualmente sul mercato, confermando i vantaggi precedentemente descritti. Attualmente è in atto un’estesa sperimentazione su parco automobilistico circolante che sta nuovamente confermando quanto già precedentemente emerso.
Nell'arco temporale dei prossimi 10 anni, quale prevede sia lo sviluppo delle bioenergie di seconda generazione ed in particolare del biobutanolo? Quali sono le aspettative rispetto alla vostra produzione?
I piani di sviluppo di DuPont, dopo le sperimentazioni condotte nel 2007, stanno vedendo nel 2008 la prova su larga scala del biobutanolo. In seguito nel 2009 ci sarà l’avvio delle prime produzioni pilota di biobutanolo, che diverrà una tecnologia matura per la commercializzazione nel 2010. Negli anni a seguire si definiranno gli investimenti produttivi per il pieno sviluppo commerciale di tale biocarburante a livello globale.
Ancora pochi anni di pazienza, dunque. Una domanda ora di carattere più "globale": possono le coltivazioni per le bioenergie competere in pratica con le crescenti esigenze alimentari mondiali?
La produzione di biocarburanti di prima generazione può avvenire in maniera efficiente e senza perturbazioni di mercato tenendo fermi alcuni punti chiave:
1. la massimizzazione delle rese per ettaro delle colture destinate alla produzione di energia. In questo modo si risponde nel modo più efficiente possibile alla crescente richiesta di derrate agricole da parte del consumo alimentare, che è stato il reale fattore alla base delle recenti oscillazioni dei prezzi mondiali dei cereali
2. la massimizzazione delle rese in biocarburante per unità di cereale utilizzato. E’ cruciale in sostanza produrre quanto più etanolo possibile per ogni singolo kilogrammo di cereali utilizzato.
3. la massimizzazione del valore nutrizionale dei co-prodotti della produzione di biocarburanti. Nel caso del mais, dopo la produzione di bioetanolo, un terzo del quantitativo iniziale di granella è rappresentato da co-prodotto ad elevato valore nutrizionale per alimentazione zootecnica (denominato DDGS - Dry Distilled Corn Grains and Solubles). Questo co-prodotto, rimesso nella filiera dell’alimentazione zootecnica, contribuisce in maniera significativa a soddisfare il fabbisogno di alimenti.
Con il passaggio alla produzione di biocarburanti a partire dalla cellulosa si verrà poi definitivamente a superare la tematica della doppia destinazione dell’uso delle derrate agricole. La cellulosa di mais, infatti, non ha attualmente alcun valore per la filiera agroalimentare, e quindi di fatto sgancerebbe completamente la produzione di bioetanolo dal resto delle filiere basate sull’utilizzo della coltura di mais.
Come salvare capre e cavoli, insomma. Saluto e ringrazio Paolo Marchesini e penso che dovrò presto fare un altro pieno di gasolio alla mia automobile. La solita pompa, il solito carburante. Però almeno ho il piacere di pensare che non dovremo aspettare i nostri nipoti per vedere cambiare le cose. E questo mi lascia un certo ottimismo sul futuro.