Anche in Italia scatta l’allerta ruggine del grano.
Ad esserne colpite, in particolare, le zone del Centro e soprattutto del Nord Italia, con alcune aree da considerare come vere e proprie zone rosse.
Secondo la Fao, l’infezione fungina che si sviluppo nelle stagioni più umide, potrebbe aver compromesso le produzioni in parte del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Asia meridionale ed occidentale, aree che rappresentano più del 30 per cento della produzione mondiale di grano e quasi il 40 per cento della superficie totale destinata alla semina del cereale.
La ruggine del grano si manifesta con la comparsa sulle foglie e sugli steli della pianta di vescicole nerastre, marroni o di colore giallo, pieni di milioni di spore. Queste spore - che ricordano la ruggine e da qui il nome - infettano i tessuti vegetali, ostacolando la fotosintesi e facendo diminuire la capacità di produrre.

Giorgio Pasti, responsabile della sezione Cereali di Confagricoltura Friuli Venezia Giulia, punta l’indice contro il meteo, responsabile di aver provocato, con le piogge abbondanti, la diffusione di spetoria e fusarium.
Abbiamo iniziato a raccogliere il grano da pochi giorni – dice – e non abbiamo ancora un quadro completo. Ma le rese sono piuttosto basse e così il peso specifico”.
Una situazione che proprio non ci voleva, “perché con le previsioni di una raccolta quantitativamente inferiore rispetto all’anno scorso – specifica Pasti – i prezzi erano in tensione, con un vantaggio interessante per i cerealicoltori. Adesso vedremo, anche perché il grano contaminato prende la strada dell’alimentazione animale o dei digestori per la produzione di biogas”.

Si dichiara “molto preoccupato” Andrea Pelladoni, amministratore delegato della Sanfermese spa di Piubega (Mantova), realtà che lavora 80mila tonnellate di cereali e fattura 26 milioni di euro all’anno. “Abbiamo contratti di coltivazione per il frumento destinato alla panificazione e alla produzione di pasta. Sono migliaia di ettari e gli agricoltori che conferiscono i cereali alla nostra impresa hanno dovuto fare due trattamenti in campo, con conseguente aumento dei costi – sostiene Pelladoni -. Ci auguriamo che la sterzata del clima verso il caldo faccia rientrare l’emergenza”.

Chi non ha nemmeno notizia del problema è Anacer, l’associazione che aggrega le imprese di commercializzazione dei cereali.

Tuttavia, il ciclo autunno-primavera targato 2012-2013, dal poco invidiabile record della piovosità più intensa degli ultimi 70 anni potrebbe innescare altri conseguenze negative sulle produzioni in campo.

Dalla Cia Toscana provengono numeri allarmanti, con “una riduzione della superficie del 50%, un dimezzamento della produzione e una crescita di costi per le aziende che sono intervenute con trattamenti specifici”. 

Incrocia le dita Nicola Preti dell’omonimo mangimificio in provincia di Mantova. “Controlliamo regolarmente don, fusariosi e altri parametri – assicura ma finora quest’anno non abbiamo avuto alcun problema. Attendiamo che la raccolta entri nel vivo, ma fino i carichi ricevuti, in particolare dalla Romagna, erano belli, sani e in regola, così come l’orzo che abbiamo stoccato”.