I soldi dell'agricoltura

Dal marzo dello scorso anno ad oggi per fronteggiare la recessione dovuta alla pandemia sono stati erogati aiuti per 108 miliardi, fra ristori e provvidenze varie, regolati da nove decreti.
Si è iniziato con il “Cura Italia” per arrivare ai quattro decreti “Ristori”, sino a quello di Natale.
E' questo l'elenco di cosa si è fatto per arginare il crollo dei fatturati, pubblicato da “Il Fatto” del 25 gennaio.
Aiuti utili ma non sufficienti, tanto che per alcuni settori la situazione resta grave.
Anche l'agricoltura figura fra i comparti più penalizzati, con danni stimati in oltre 12 miliardi di euro, ai quali corrisponde solo un miliardo di aiuti.
 
Il pacchetto più sostanzioso, si legge nell'articolo, è l'esonero dai versamenti previdenziali e assistenziali per il primo semestre 2020, finanziato con 426 milioni nel decreto Rilancio e 51,8 milioni nel Dl Agosto.
Altri 356 milioni di decontribuzione automatica sono arrivati a novembre.
Aiuti sono stati previsti anche per il comparto degli allevamenti, ai quali sono andati sostegni per 90 milioni di euro.

L'elenco continua con 100 milioni al settore vitivinicolo e 20 milioni a pesca e acquacoltura.
Da Ismea sono transitati aiuti per 380 milioni, mentre altri 340 milioni sono stati destinati al Fondo per l'emergenza alimentare, finalizzati all'acquisto di prodotti made in Italy da parte della ristorazione.
A dispetto di questi aiuti, conclude l'articolo, per turismo, negozi, cinema, e agricoltura i contributi sono una goccia nel mare della crisi: ed è già boom di chiusure.
 

Sperando nella fine dei dazi

Una revisione della politica protezionistica del commercio verso gli Usa. E' quanto auspica il quotidiano veronese “L'Arena” del 26 gennaio, ricordando che nel mirino dei dazi statunitensi che penalizzano le nostre esportazioni ci sono molte produzioni agroalimentari.
E' dal 18 ottobre del 2019, si ricorda, che è entrata in vigore la tariffa aggiuntiva del 25% su una lunga lista di prodotti esportati verso gli Usa dall'Italia e dall'Unione europea.

Gli Stati Uniti costituiscono un importante sbocco per il nostro agroalimentare, ricorda Paolo Ferrarese, presidente di Confagricoltura Verona, che prosegue ribadendo che secondo i dati della Commissione europea le esportazioni di prodotti agroalimentari della Ue sui mercati statunitensi si sono ridotte di 400 milioni di euro nel primo semestre del 2020.
Nello stesso articolo Alessandro Lavagnoli, presidente di Cia per la provincia di Verona, evidenzia che gli Usa sono il principale mercato di esportazione per i vini veneti.
Ora confidano tutti in Joe Biden, nuovo presidente degli Usa, dal quale sperano giunga una svolta nella politica commerciale.
 

Ogm, chi dice ancora no

Ribadisce il no europeo agli Ogm l'articolo a firma di Annamaria Capparelli sul “Quotidiano del Sud” del 27 gennaio, che ricorda tuttavia come le colture Ogm siano ampiamente diffuse nel resto del mondo.
C'è però un'apertura alle nuove tecnologie per l'evoluzione assistita. Si tratta delle Nbt (New Breeding Techniques), che promettono di migliorare le produzioni senza forzature e soprattutto senza intervenire con l'introduzione di pezzi di Dna di specie diverse.

Si tratta di pratiche che si limitano a velocizzare le modifiche che comunque si potrebbero manifestare spontaneamente.
L'obiettivo, continua l'articolo, è quello di rafforzare le rese a ettaro e consentire ad alcune colture di sopravvivere in terreni sempre più inariditi dai cambiamenti climatici e più vulnerabili all'attacco di patogeni.
Si migliora così la sostenibilità delle produzioni agricole, nel solco della strategia europea del New green deal.
La scelta del green, nuova bandiera della politica agricola europea, conclude l'articolo, è antitetica agli Ogm, che essendo nelle mani di poche multinazionali rischiano di aumentare le dipendenze dei paesi più poveri.
 

Se il latte va in polvere

C'è tensione sul mercato del latte, con una sensibile richiesta di latte in polvere, un mercato dal quale l'Italia è esclusa per la sostanziale assenza di impianti per la trasformazione del latte.
Entro il prossimo anno lo scenario potrebbe però modificarsi, visto l'impegno di un gruppo di cooperative del settore, intenzionate ad investire in questo settore con la costruzione di un nuovo impianto.

Ne dà notizia “Il Sole 24 Ore” del 28 gennaio, dal quale si apprende che per realizzare il progetto si è formata una cordata tra le principali cooperative del latte del Nord Italia, da Aop Latte Italia al Consorzio Latterie Virgilio, da Cooperlat alla Latteria Soresina, da Parmareggio a Plac-Fattorie Cremona, passando per il Consorzio del Grana Padano.
L'impianto di polverizzazione, spiega l'articolo, potrebbe dare una risposta alle crisi di mercato del settore, “dirottando” la produzione di latte in eccesso rispetto alle capacità di assorbimento da parte della domanda.
Lo conferma Giovanni Guarneri, coordinatore del settore lattiero-caseario per l'Alleanza delle Cooperative, secondo il quale “l'operazione che ci avviamo a realizzare potrebbe avere importanti ricadute su tutte le aziende del settore lattiero-caseario italiano.
 

Allevamento e pregiudizio

Quali sono le cause del passaggio dei virus dagli animali all'uomo? Se lo chiede il settimanale “Focus” in edicola il 29 gennaio, per ricordare che il Covid-19 è solo una delle ultime patologie che hanno fatto il salto di specie, partendo da un animale, in questo caso il pipistrello, per poi arrivare all'uomo con le conseguenze che ben conosciamo.

Salto di specie già avvenuto parecchie volte e per colpa dell'uomo e non certo della Natura, come afferma Franco Capone che firma l'articolo.
Segue un lungo elenco di malattie che hanno preso origine dagli animali e si citano vaiolo, rosolia e orecchioni.
Poi quelle di più recente ingresso, come Aids, Sars, Ebola e la simil febbre emorragica Marburg, Hendra e Nipah, dai gravi problemi respiratori.
Strano che nell'articolo non si citi la variante della Creutzfeldt-Jakob, più nota come Encefalopatia spongiforme bovina e ancor più come vacca pazza. Ma a dire il vero fu soprattutto una “malattia mediatica”, forse è meglio non ricordarla.

Proseguendo l'articolo si interroga quali strategie sia necessario adottare per limitare il passaggio delle patologie dagli animali all'uomo.
Si ricorda allora che una persona su otto nel mondo vive in condizioni igieniche pessime, cosa che favorisce ovviamente l'aggressione dei patogeni.
Poi i trasporti, in particolare quelli aerei, che facilitano il trasferimento dei patogeni da un continente all'altro in men che non si dica.
In conclusione l'articolo ci ricorda che “non sono i virus presenti negli animali che ci vengono a cercare. Siamo noi ad andarli a trovare”.
 
Peccato lo “scivolone” finale, quando all'invito a “ripensare i nostri rapporti con l'ambiente e gli animali selvatici, a combattere la povertà e le condizioni abitative precarie, a favorire i consumi consapevoli”, si aggiunge la necessità di “limitare gli allevamenti intensivi”.
Un pregiudizio difficile da scalzare questo che accomuna agli allevamenti intensivi ogni malefatta.
Al contrario nelle aziende zootecniche professionali (intensive, appunto) si applicano rigorose misure di igiene e profilassi, come dimostra il fatto che la maggior parte delle patologie è veicolata dagli animali selvatici e non da quelli negli allevamenti professionali.
 

Chi si salva dal Covid

Sono pochi i comparti dell'agroalimentare che non hanno subìto danni per conseguenza della pandemia da coronavirus.
Uno di questi è quello delle conserve vegetali, che registra un giro d'affari complessivo di oltre 6 miliardi di euro, 3 dei quali realizzati sui mercati esteri.
Grazie alla forte presenza nelle grandi catene di distribuzione e all'elevata durata di conservazione (shelf life), le conserve vegetali sono state riscoperte dalle famiglie italiane nei prolungati periodi di fermo.
Una parte rilevante, circa il 60%, di questi prodotti è rappresentato dal pomodoro e dai sughi a base di pomodoro.
L'altro 40% è legato ai legumi (che valgono circa 900 milioni di euro di giro d'affari) e infine le altre conserve, come sottoli, sottaceti e marmellate (e che nel complesso valgono quasi 1,5 miliardi).
 
E' questa la fotografia scattata da “Il Sole 24 Ore” del 30 gennaio da Giorgio dell'Orefice, che ha chiesto al direttore dell'Anicav (l'associazione delle industrie conserviere italiane), Giovanni De Angelis, un commento sulla situazione del comparto. “Tutto il settore delle conserve diverse dal pomodoro - ha detto De Angelis - ha messo a segno risultati molto interessanti”.
Bene l'export con un più 6% in valore e ancor meglio sul mercato interno, grazie in particolare al segmento dei legumi, con aumenti di oltre il 10% in valore.
Bene anche sottoli e sottaceti, con aumenti fra il 2 e il 3%, come ricordato da Stefano Pucci di Unionfood.

Ora il settore si interroga su come mantenere anche in futuro le posizioni acquisite e in quest'ottica sarà decisivo il fronte dell'export.
In questa direzione, si legge in conclusione dell'articolo, “partirà nel prossimo marzo il progetto Nature's pearls – legumes from Europe, ideato proprio da Anicav e cofinanziato dall'Unione europea (nell'ambito del regolamento n. 1144/2014) con un budget di oltre 2 milioni di euro”.
 

Niente favole sull'agricoltura

All'agroalimentare italiano mancano 30 miliardi di fatturato. Colpa del crollo delle vendite sui canali della ristorazione, solo in parte compensato dall'aumento nei circuiti al dettaglio.
E' quanto afferma sulle pagine di “Libero” del 31 gennaio il consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, intervistato da Attilio Barbieri.
Con la chiusura di ristoranti e bar - afferma Scordamaglia - l'agroalimentare ha perso 43 miliardi di fatturato. Di questi 13 sono stati recuperati nella distribuzione, ma a prezzo della svalorizzazione di cibi e vini, che sugli scaffali dei supermercati si vendono a prezzo di sconti inaccettabili. Alla fine mancano all'appello 30 miliardi di euro. Se vogliamo evitare il disastro dobbiamo dar modo alla ristorazione di rimettersi in moto.

Fra le soluzioni proposte per accelerare la ripresa c'è quella del “patentino vaccinale” per gli addetti, da affiancare alla promozione del made in Italy, che i consumatori hanno dimostrato di preferire.
Sarebbe però utile un'etichetta più trasparente, ma l'Unione europea su questo tema frena, dando ascolto alle politiche dei Paesi del nord Europa.
I fondi del Recovery - ricorda Scordamaglia - devono andare a modernizzare le filiere produttive e sostenibili, non un'agricoltura da favoletta di Cenerentola, come qualcuno vorrebbe”.
E in conclusione una forte critica al commissario Ue al green deal Frans Timmermans, per le sue aperture ai prodotti sostitutivi della carne e del formaggio, che si traduce in un attacco alle produzioni made in Italy.
"Di cosa parlano i giornali quando scrivono di agricoltura?"
Ogni lunedì uno sguardo agli argomenti affrontati da quotidiani e periodici sui temi dell'agroalimentare e dell'agricoltura, letti e commentati nell'Edicola di AgroNotizie.

Nel rispetto del Diritto d'Autore, a partire dal 23 novembre 2020 non è più presente il link all'articolo recensito.

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