Il pomodoro da industria italiano perde sempre più quote di mercato in Italia, fino al 6% sui pelati, mentre i costi di produzione nell’ultima campagna sono fortemente lievitati, anche per l’effetto di un prezzo elevato della materia prima e per la necessità di incrementare i volumi di pomodoro fresco da lavorare rispetto allo scorso anno, ma per ottenere poi le stesse quantità di prodotto trasformato del 2018. Ed in questo quadro non del tutto rassicurante, dove solo l’incremento in valore dell’export - pari all’8,9% - riesce a pareggiare le perdite sul mercato Italia, si scopre che l’oro rosso per riscattarsi ha una sola strada: riguadagnare almeno una parte di quei consumatori italiani che guardano con sospetto a barattoli di pelati e bottiglie di passata, identificati con lo sfruttamento di manodopera nelle campagne da parte dei caporali.

E’ questo il quadro emerso il 29 novembre scorso a Napoli, durante la manifestazione “Il filo rosso del pomodoro” organizzata dall’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali, dedicata al tema “La reputation come asset strategico per il comparto” e che ha visto la partecipazione della ministra alle politiche agricole Teresa Bellanova.
 

L'andamento del settore

Ha aperto i lavori Antonio Ferraioli, presidente Anicav, che ha rilevato come nella campagna 2019 le aziende di trasformazione italiane – a fronte di 64.528 ettari messi a coltura (+6,4% sul 2018) ”hanno trasformato 4,8 milioni di tonnellate di pomodoro, una produzione sostanzialmente in linea con lo scorso anno, ma con un’importante riduzione rispetto a quanto programmato". Secondo Ferraioli “nel bacino Centro-Sud sono state trasformate 2,43 milioni di tonnellate di pomodoro - con un incremento del 10,2% rispetto al 2018 - mentre nel bacino del Nord il trasformato finale si è attestato intorno a 2,37 milioni di tonnellate (-3,2% rispetto allo scorso anno)".

Il dato italiano di sostanziale stabilità produttiva si inserisce in una situazione di crescita generale sia a livello europeo (+9%) che mondiale (+7%): in particolare la Cina con 4,5 milioni di tonnellate ha incrementato le quantità di circa il 18% e la Spagna e il Portogallo, complessivamente, di oltre il 15%. L’Italia si conferma il secondo Paese trasformatore a livello globale dopo gli Stati Uniti e rappresenta il 13% della produzione mondiale (37,3 milioni di tonnellate) e circa la metà del trasformato europeo.

“Il fatto che la produzione finale nazionale si sia attestata sui livelli dello scorso anno, nonostante l’incremento, seppur minimo, degli ettari investiti, è da ricondurre principalmente alle avversità climatiche di maggio e di luglio che hanno posticipato i tempi dei trapianti e quindi della raccolta, ritardando di oltre una settimana l’avvio della campagna e andando ad incidere in maniera significativa sulle rese agricole" ha detto Ferraioli.

Sempre secondo il presidente Anicav “alle minori rese agricole è corrisposto, inoltre, un peggioramento delle rese industriali dei derivati destinati al consumatore finale legato all’esigenza di utilizzare maggiori quantità di materia prima per riuscire a garantire i nostri elevati standard qualitativi, causando un significativo impatto sui costi di produzione aziendali già interessati da importanti aumenti dei costi energetici dovuti, in particolare, ai continui stop and go degli impianti e all’allungamento della campagna”.

E Ferraioli non ha risparmiato una stoccata sui prezzi della materia prima. Già alti - 95 euro alla tonnellata per il tondo (+9,19% sul 2018) e 105 euro alla tonnellata per il lungo (+8,24% sul 2018) - ritoccati a campagna in corso rispetto all’accordo del 18 giugno scorso, a causa delle avvesità climatiche: ”Non bisogna trascurare, inoltre, che gran parte delle aziende ha riconosciuto agli agricoltori un prezzo della materia prima - che è già il più alto al mondo - maggiore rispetto a quello contrattato all’inizio della campagna. Si tratta di incrementi dei costi che le nostre imprese non riusciranno a recuperare considerando che molti dei contratti con la Grande Distribuzione sono stati già conclusi nel periodo di pre campagna tra giugno e luglio”.

Sul versante dei consumi interni si continua a perdere colpi. "In particolare, nell’ultimo anno, nel periodo settembre 2018-settembre 2019, è proseguita la riduzione delle quote di mercato: la flessione maggiore ha riguardato i pelati, che hanno registrato una riduzione del 6,2%, e la polpa (-3,6%). Risultati un po’ più tranquillizzanti, ma pur sempre negativi, per i pomodorini (-1.0%), mentre la passata, che continua ad essere il prodotto più venduto, rimane stabile" ha sottolineato Ferraioli. Diverso, invece, l’andamento del Food Service dove, grazie a una sempre maggiore attenzione della ristorazione alla qualità delle materie prime, si rileva un trend sostanzialmente crescente.

Buone le perfomance delle esportazioni che “Riescono a bilanciare il calo dei consumi interni – ha detto Ferraioli, sottolineando come - l’Italia, infatti, è il primo Paese esportatore di derivati del pomodoro destinati al retail. Nel primo semestre 2019 – secondo l’Istat - si è registrata una crescita del 5,97% in volume e dell’8,9% in valore, con un andamento ampiamente positivo della bilancia commerciale”. Non a caso Anicav nel triennio 2019/2021 sarà beneficiaria di 5 ,5 milioni di euro da destinare alla promozione delle produzioni sui mercati esteri
 

La piaga del caporalato

Il comparto riesce a rimanere a galla grazie all’export, ma l’industria del pomodoro italiano – 115 aziende che generano 3,3 miliardi di euro di fatturato di cui il 60% ricavato dall’export e con ben 35mila dipendenti tra fissi e stagionali - ha bisogno di riguadagnare il mercato domestico. Dove - secondo un’indagine commissionata dall’Anicav al Reputation institute, ben l’82% degli italiani associa il pomodoro al fenomeno del caporalato. Al punto che anche una strategia efficace di repressione del fenomeno non basterà a riguadagnare la reputazione perduta e occorreranno importanti investimenti in comunicazione. Ma il comparto, come noto, è anche vittima di una pratica commerciale sleale: le aste telematiche a doppio ribasso da parte della Gdo, che spesso azzerano i margini industriali, comprimendo poi il valore aggiunto di tutta la filera a monte, fino a colpire gli imprenditori agricoli ed i loro collaboratori.
 

Bellanova: "Battere aste a doppio ribasso e caporalato"

Su questi due aspetti ha risposto a tono la ministra Bellanova: “Vogliamo accelerare il recepimento della direttiva Ue in materia di pratiche sleali e coordinarla con la nostra legge nazionale – ha affermato - sapendo che le pratiche sleali rappresentano un punto di assoluta debolezza nei rapporti della filiera e per questo devono essere vietate”.

“Le aste al doppio ribasso - ha aggiunto - pur non essendo in quella direttiva, sono caporalato in giacca e cravatta e per questo appoggio la legge che le vieta. È stata approvata alla Camera in prima lettura e spero che al Senato possa divenire definitivo il testo”.

Sul caporalato infine la ministra ha affermato: “Credo molto nel progetto che vede partecipe anche Anicav insieme alla Borsa merci telematica italiana per costruire una piattaforma di intermediazione legale della manodopera a partire dalla filiera del pomodoro a Foggia. - ha concluso la ministra - Dalla prossima campagna di raccolta partirà la sperimentazione della piattaforma e mi auguro sarà un progetto da diffondere come buona pratica”.

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