Nel dopoguerra il vino era considerato un alimento, una parte essenziale del pasto sulla tavola degli italiani. Accanto al piatto di spaghetti non poteva mancare un bicchiere di rosso e in certe scuole veniva dato, seppur annacquato, agli alunni. La qualità era un fatto secondario, si beveva soprattutto il vino del luogo di origine e il prezzo influiva enormemente nell'orientare l'acquisto.

Questo ha portato alla creazione di segmenti di mercato basati sul prezzo che hanno poi condizionato tutto il rapporto tra i produttori e i vari canali di smercio del vino, dalla grande distribuzione, passando l'HoReCa fino alle enoteche.

"Un modello che però oggi non è più attuale", ha spiegato Armando Cirrincione, del team Wine management lab di SDA Bocconi, durante un incontro all'Università milanese dal titolo 'Il consumatore assente dallo scaffale'. "Tutte le cantine concentrano la loro offerta nella fascia sotto i venti euro e ritengono che il prezzo sia parte importante del posizionamento sul mercato. Ma così non è. Il prezzo è una barriera all'acquisto. Davanti ad uno scaffale di un supermercato non si ragiona solo in base al prezzo, ma in base alle motivazioni di acquisto".

Ecco allora che dall'analisi dei comportamenti di consumo il team di Wine management lab ha identificato tre segmentazioni del mondo del vino. C'è quello Trendy, che segue le mode e che viene consumato nei momenti di convivialità. E' il vino del momento, come il Prosecco, che si sceglie per essere al passo con la moda, indipendentemente dal suo luogo d'origine.

C'è poi il vino Fine, che viene scelto per vivere una esperienza nuova e che ha un forte legame con il territorio. E infine il vino Icon che serve a suggellare momenti speciali, come la nascita di un figlio, una laurea o che si porta in dono a qualcuno di importante.

All'interno di queste tre macro-categorie le fasce di prezzo possono essere le più varie. Nel vino Icon partono ovviamente da livelli più alti, visto che sono bottiglie esclusive, mente per i vini Trendy e Fine possono andare da pochi euro a venti e più.

Una classificazione che però secondo alcuni partecipanti all'incontro dovrebbe essere ampliata da una terzo segmento, quello dei consumatori che ancora ritengono il vino un alimento, una commodity, in cui una bottiglia vale l'altra ed è solo il prezzo a orientare le scelte di acquisto. Una differenza in fondo generazionale. Oggi i Millennials non bevono vino a pasto, ma soprattutto in momenti di convivialità. Mentre per i baby boomers il bicchiere di vino a pranzo e a cena è un obbligo e non è così rilevante il territorio o la marca quanto il prezzo o la promozione al supermercato.

"Nel mondo del vino si fa molto marketing, anche di ottimo livello, ma a mancare è il consumatore", spiega Andrea Rea, docente della Bocconi, che si ricollega al titolo dell'evento: il consumatore assente dallo scaffale. "Gli attori della filiera utilizzano un modello che si basa sul prezzo ma che non rispecchia la realtà. Ci sono tre mercati distinti (Trendy, Fine e Icon, ndr) all'interno dei quali il prezzo è solo uno degli elementi che orienta la scelta".

Dalla platea sono venuti altri due spunti di riflessione. Il primo riguarda la tendenza al 'naturale'. Esiste un segmento di consumatori che chiede vini naturali. Sotto questo termine si aggregano tutta una serie di sottosegmenti che vanno dal biologico al biodinamico, passando dal vino sostenibile (magari perché la cantina ha i pannelli fotovoltaici) a quello senza aggiunta di solforosa e così via. Un segmento in crescita anche se ancora di nicchia, in cui il consumatore ricerca un contatto con la natura e la tradizione e vuole essere sostenibile.

Ma se ci si sposta dall'Italia, ha fatto notare un giovane studente della Bocconi, queste categorie perdono di significato, perché una bottiglia di vino italiano è sempre trendy, icon e fine. Il made in Italy è un marchio a sé che rende tutte le bottiglie del Belpaese desiderabili.