L’agricoltura italiana e meridionale - e quella pugliese in particolare - hanno grandi potenzialità inespresse, possono ancora espandersi sui mercati internazionali e accrescere il valore aggiunto di una produzione lorda vendibile che in molti casi o non è adeguatamente remunerata o finisce per essere schiacciata dai costi dei servizi di commercializzazione. A condizione che le aziende si aggreghino, che facciano fronte comune nei confronti di grande distribuzione organizzata ed importatori. Con strumenti che possono andare da quelli più tradizionali come le fusioni e i consorzi a quelli più innovativi, come il contratto di rete.

E' quanto emerso ieri pomeriggio nella Tenuta Bocca di Lupo a Minervino Murge, sede dell’azienda Tormaresca, perla meridionale della major del vino italiano Marchesi Antinori, durante il convegno "Aggregazioni e fusioni: quale il futuro per la Puglia del Wine and Food e quali prospettive nei mercati internazionali?"

A Minervino Murge si sono confrontati advisor e operatori della grande distribuzione, uomini della finanza, economisti e legali. Con una presenza lampo dell'ex presidente della Comagri al Parlamento di Strasburgo, Paolo De Castro, attualmente relatore permanente del Ttip. Numerose poi le testimonianze del mondo dell’imprenditoria pugliese. L’incontro, tenutosi nel quadro degli eventi Durantexpo, sotto l’alto patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento politiche europee, negli auspici di molti dei partecipanti potrebbe in futuro avere una cadenza annuale o biennale. Per diventare la Cernobbio dell’agricoltura meridionale e non solo.

Hanno salutato gli intervenuti i padroni di casa, Renzo Cotarella, amministratore delegato di Marchesi Antinori, e Giuseppe Palumbo, ad di Tormaresca. Cotarella ha ricordato l’importanza “di essere uniti per fare le cose insieme” nello sviluppo della cultura d’impresa. Palumbo, con riferimento al territorio della Puglia ha sottolineato “occorre riconquistare lo stesso entusiasmo del dopoguerra, non vedo perché non farlo ora, all’epoca c’era la sfida della ricostruzione, oggi la sfida sono la Gdo e i mercati”.

Lorenzo Tersi, presidente di LT Food and Wine advisory ha ricordato “In Italia produciamo quasi lo stesso quantitativo di vino della Francia, ma mentre il nostro Paese riesce a ricavare circa 6,1 miliardi di dollari all’anno dall'export, Oltralpe si realizzano ricavi dalle vendite all'estero per 9 miliardi, segno evidente che un minor numero di aziende più grandi non solo riesca ad avere costi medi minori, ma sappia anche puntare con maggiore decisione alla valorizzazione del prodotto”.

Tra le soluzioni possibile Tersi ne avanza due, una sicuramente bancabile per il mercato italiano e non solo del vino: ”Un’azienda di Barbaresco, un’altra in Franciacorta, una cantina in Abruzzo, ed un altro produttore del Sud con nulla in comune: ecco oggi queste quattro imprese vitivinicole realizzano maggiori volumi di vendita sul territorio nazionale e hanno costi minori, perché hanno messo insieme il commerciale, 100 uomini e due capoarea, come se fossero una sola grande azienda”.

Una soluzione che però non funziona fuori dai confini nazionali: "Sui mercati internazionali c’è bisogno di una strategia più forte, perché bisogna essere riconoscibili, con poche bottiglie, pochi marchi, e le partnership devono essere più forti - ha detto Tersi - meglio se si arriva alla fusione di più soggetti – magari di rami d’azienda - che mettono in comune l’obiettivo di crescere nei mercati internazionali”.

Secondo Riccardo Breviglieri, responsabile acquisti di Conad: “C’è una grande potenzialità nell’export di prodotti agroalimentari italiani, ma nel 2008/2013 abbiamo perso posizioni come sistema paese perché le aziende, specie quelle piccole, non riescono a fare fronte al mercato, abbiamo una grande reputazione, ma siamo nani commerciali, ci vuole aggregazione anche con incentivi fiscali. Oggi Conad, nel quadro dell’alleanza Core, riesce ad esportare 60 milioni di euro l’anno di eccellenze agroalimentari italiane, ma costa oggi molta fatica, per via della grande frammentazione della produzione”.

Denis Pantini, responsabile area agroalimentare di Nomisma ha illustrato quali saranno i mercati esteri del futuro per il settore: ”Nei prossimi anni, per l’aumentata disponibilità di reddito, aumenteranno i consumi alimentari di molti Paesi, ed è prevedibile che la propensione ad importare beni agroalimentari entro il 2023 dell’India aumenti, per esempio del 259%”.

Incremento delle importazioni previste entro il 2023 a tre cifre anche per la Cina, attestata secondo Nomisma a + 126,8%, seguono Brasile (59,8%)Russia (54,5%). Cresceranno ancora le importazioni agroalimentari di Usa e Canada insieme, ma solo del 3,3%, seguiti dal Giappone con un +2,9%. “Il principale mercato per il vino sarà quello della Cina" ha ricordato ancora Pantini.

La Puglia, sul fronte del vino sconta la debolezza dovuta ad una grande produzione ancora non valorizzata da Dop e Igp:”Il crollo dei prezzi dovuto alla sovrapproduzione di vino in Spagna, evento ripetibile visto che nella penisola iberica i nuovi investimenti in vigneti sono su terreni irrigui, ha colpito il segmento dei vini sfusi, la Puglia ha una chance se valorizza con le sue Dop e le sue Igp.”

Per Pantini alle aziende italiane non manca la flessibilità, la capacità di innovare nella tradizione e sono favorite dall’appeal dell’Italian way of life, mentre frenano l’espansione delle imprese le pastoie burocratiche del Sistema Paese e la mancanza di economie di scala.

Una buona notizie per la Puglia arriva dall’avvocato Feliciana Bitetto Tra gennaio e febbraio in Puglia, secondo Confindustria, si sono siglati ben 389 contratti di rete, tra aziende locali e aziende di altre regioni, segno che qualcosa si sta muovendo e in tutti i settori”.
n buon viatico per l'aggregazione, che deve rendere più forti gli agricoltori pugliesi, vittima nei giorni scorsi della crisi del prezzo della ciliegia.