Rimane bassa la resistenza multipla (co-resistenza) agli antimicrobici d’importanza fondamentale, come evidenziano i dati. Ciò significa che nella maggior parte dei casi le opzioni di cura per le infezioni gravi causate da questi batteri zoonotici restano valide; tuttavia il fatto che la resistenza agli antimicrobici sia stata riscontrata comunemente desta preoccupazione.
Se i batteri diventano clinicamente resistenti a diversi antimicrobici (multifarmacoresistenti), trattare le infezioni da essi causate può diventare difficile, se non impossibile. Lo sviluppo di resistenza agli antimicrobici nei batteri presenti negli animali e negli alimenti può inoltre compromettere l’efficacia del trattamento delle infezioni nell’uomo, poiché i batteri resistenti e i geni della resistenza possono trasferirsi da animali e alimenti all’uomo.
“Ecco perché è fondamentale usare gli antibiotici con prudenza, non solo nell’uomo, ma anche negli animali”, ammonisce Marta Hugas, capo (facente funzione) del Dipartimento Valutazione del rischio e assistenza scientifica dell’Efsa.
“Nell’uomo i livelli di resistenza agli antimicrobici hanno evidenziato una grande variabilità tra gli Stati membri, in parte a causa dei diversi metodi e criteri utilizzati per interpretare i dati in tutta l’Ue.
Nel 2014 l’Ecdc avvierà il protocollo Ue per il monitoraggio armonizzato della resistenza agli antimicrobici in isolati di Salmonella e Campylobacter nell’uomo. Ci aspettiamo quindi di ricevere dai Paesi dati più precisi e di conseguenza una migliore confrontabilità dei dati stessi”, commenta Johan Giesecke, responsabile scientifico capo all’Ecdc.
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