A livello globale l'agricoltura pesa per un 11% sulle emissioni di gas ad effetto serra, quei gas cioè responsabili del riscaldamento globale e quindi dei cambiamenti del clima. È un numero piuttosto basso se paragonato ad altri comparti, come quello della produzione di energia, che da solo vale il 26% delle emissioni. Eppure anche all'agricoltura viene chiesto di fare la propria parte per diminuire l'impatto sull'ambiente.

 

In Italia il peso dell'agricoltura sulle emissioni di gas climalteranti è minore rispetto alla media globale e si ferma all'8,4% (dati Ispra), di questa percentuale la parte da leone la fa la zootecnia, che da sola costituisce il 65% delle emissioni. E se si guarda bene a questo comparto, si scopre che non è tanto la CO2 a pesare sul clima, quanto il metano, un gas che ha un effetto "riscaldante" ventisette volte superiore a quello dell'anidride carbonica. In altri termini, emettere 1 chilogrammo di metano in atmosfera equivale ad emetterne 27 di CO2.

 

Suddivisione delle emissioni di GHG per settore

Suddivisione delle emissioni di GHG per settore

(Fonte foto: Unep - 2024)

 

Se si guarda alla zootecnia, si scopre che il settore dei ruminanti è quello che impatta di più, visto che la "fermentazione enterica" (di cui parleremo più avanti) rappresenta il 45% delle emissioni agricole. Seguito dalla gestione delle deiezioni (di ruminanti e non solo), che invece si ferma al 20%. Il resto è provocato dalle emissioni delle risaie in sommersione e dall'uso dei fertilizzanti.

 

Ma il metano come viene prodotto in stalla e soprattutto è possibile diminuirne l'emissione?

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Il ciclo del metano

Il metano prodotto in ambito zootecnico ha un'origine biologica e fa parte del cosiddetto ciclo biogenico del carbonio. Si genera principalmente durante la fermentazione enterica, cioè il processo digestivo che avviene nel rumine degli animali ruminanti come bovini e bufale.

 

"Durante la fermentazione nel rumine una parte dell'energia contenuta nella razione alimentare viene persa sotto forma di metano. In termini energetici si tratta di una perdita compresa tra il 5 e il 7% dell'energia ingerita", ci spiega Maddalena Zucali, professore associato del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia dell'Università degli Studi di Milano. "Il metano prodotto dai batteri che lavorano nel rumine dei bovini viene espulso tramite eruttazione e rappresenta una delle principali fonti di CH4 agricolo".

 

Il metano così prodotto viene rilasciato in atmosfera, dove resta per un periodo relativamente breve rispetto alla CO2. "La molecola di metano ha una vita media in atmosfera di circa dieci-dodici anni, al termine dei quali si degrada tornando a essere CO2, la stessa anidride carbonica che era stata assorbita dalle piante durante la fotosintesi e poi ingerita dall'animale sotto forma di alimento", continua Maddalena Zucali. Questo meccanismo, tipico del carbonio biogenico, rende il metano zootecnico potenzialmente meno impattante rispetto al metano fossile, ma solo nel lungo periodo.

 

"Negli ultimi anni i metodi di calcolo del Global Warming Potential (GWP) stanno evolvendo e tengono conto della durata in atmosfera del metano. Questo porta a rivedere al ribasso il suo potere riscaldante sul lungo periodo, anche se resta comunque molto elevato", sottolinea la docente. Per dare un termine di paragone, 1 chilogrammo di metano biogenico pesa come 27 chilogrammi di CO2, mentre nel caso di metano di origine fossile, si sale a 30.

 

Ruminanti sotto osservazione: i numeri delle emissioni

Complessivamente, la zootecnia è responsabile di circa due terzi delle emissioni del settore agricolo. Se si guarda al singolo animale, le stime fornite dal gruppo di lavoro dell'Università degli Studi di Milano parlano di emissioni comprese tra 300 e 380 chilogrammi di metano per bovina in lattazione all'anno, considerando sia le emissioni enteriche sia quelle relative alla gestione dei liquami.

 

Considerando che il potere climalterante del CH4 è ventisette volte superiore a quello della CO2, una vacca, per produrre 1 chilogrammo di latte, emette 0,8 chilogrammi di CO2 equivalente da metano (considerando una produzione di 8mila/10mila chilogrammi a lattazione). Per dare un termine di paragone, una automobile a benzina da 150 cavalli emette circa 0,15 chilogrammi di CO2 al chilometro. Questo significa che, dal punto di vista del metano, una bovina emette, per ogni litro di latte, quanto una macchina che percorre 5 chilometri.

 

Si tratta, ovviamente, di dati da prendere con le pinze, perché ogni sistema produttivo ha caratteristiche proprie. Ma questi dati sono utili per capire le grandezze che sono in gioco. Se ad esempio guardiamo al peso di tutte le emissioni di una vacca, divise per la produzione di latte, si rimane stupiti che per la produzione di 1 litro di latte si emettano solo 0,6-2 chilogrammi di CO2 equivalente (considerando l'intero ciclo produttivo e tutti i fattori coinvolti nella produzione stessa).

 

Grafico: Le emissioni di CO2 equivalente per litro di latte prodotto in centocinquanta aziende campione in Italia

Le emissioni di CO2 equivalente per litro di latte prodotto in centocinquanta aziende campione in Italia

(Fonte Foto: Maddalena Zucali, professore associato del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia dell'Università degli Studi di Milano)

 

Strategie per ridurre il metano in stalla

Sebbene fisiologico, il metano zootecnico può essere in parte mitigato attraverso strategie nutrizionali, gestionali e tecnologiche. Un primo ambito di intervento è l'alimentazione. "Lavorare sulla razione può ridurre significativamente le emissioni", spiega Maddalena Zucali. "Una razione con una buona qualità dei foraggi e con un rapporto foraggi/concentrati favorevole può portare a una minore produzione di metano per chilo di latte prodotto". Il principio è quello di migliorare l'efficienza di conversione alimentare: meno metano per ogni litro di latte significa un impatto ambientale inferiore.

 

Oltre alla qualità della razione si stanno sperimentando anche additivi che inibiscono i processi biologici alla base della metanogenesi. "Il prodotto Bovaer®, basato sulla molecola 3-NOP, si è dimostrato efficace nel ridurre fino al 30-40% la produzione di metano, senza effetti negativi sulla produttività degli animali", racconta la professoressa. Tuttavia, ci sono tante questioni ancora da chiarire riguardo all'utilizzo di questi prodotti, oltre al costo, che resta un ostacolo alla diffusione su larga scala, rendendo necessarie forme di incentivazione o riconoscimento economico lungo la filiera.

 

Anche i reflui zootecnici rappresentano una fonte importante di metano, specie quando vengono stoccati in maniera non corretta. In questo caso la soluzione più efficace è rappresentata dal biogas. "Quando il refluo viene usato in impianti di digestione anaerobica, il metano viene trasformato in energia, evitando la sua dispersione in atmosfera. In questo modo non solo si elimina una fonte emissiva, ma si produce anche energia rinnovabile, con un beneficio doppio in termini di sostenibilità", sottolinea Maddalena Zucali. Studi condotti su aziende lombarde hanno mostrato che la presenza di un impianto biogas può ridurre del 20-30% l'impatto ambientale complessivo di un allevamento.

 

Occorre però aggiungere un altro tassello. L'agricoltura, sebbene sia un settore che emette gas climalteranti, è anche l'unico che può assorbirli, stoccando ad esempio CO2 nella biomassa legnosa oppure nei terreni. Quando il tronco di un albero cresce, infatti, sequestra anidride carbonica, sottraendola dall'atmosfera. Dunque il comparto agricolo può mitigare la propria impronta ambientale, diventando potenzialmente carbon neutral.

 

Però, anche in questo caso, occorre dare dei numeri. 1 ettaro di prato stabile, desinato ad esempio alla produzione di foraggio, può sequestrare circa 1 tonnellata di CO2 all'anno. Quindi, considerando una emissione media di 1 chilogrammo di CO2 equivalente per litro di latte, significa che 1 ettaro di suolo gestito in un'ottica di carbon farming può ammortizzare le emissioni di circa mille litri di latte. Di conseguenza, un'azienda agricola-zootecnica ha la possibilità di diminuire, se non annullare, la propria impronta carbonica, almeno sul breve-medio periodo.

 

Efficienza e tecnologia per una zootecnia sostenibile

Un'azienda più efficiente è un'azienda che emette meno, anche senza interventi diretti sul metano. "Inserire tecnologie come robot di mungitura o sistemi di rilevazione dei calori - chiarisce la professoressa - permette di aumentare la produttività per capo e quindi ridurre le emissioni per chilo di prodotto".

 

L'introduzione della zootecnia di precisione contribuisce indirettamente alla sostenibilità: meno capi per produrre la stessa quantità di latte significa minori emissioni totali, inclusi i gas climalteranti. È questo un aspetto che può essere controintuitivo. Spesso si ritiene, erroneamente, che i sistemi intensivi siano meno sostenibili. Invece avere sistemi produttivi ad alta efficienza consente di produrre alimenti con una bassa impronta ambientale.

 

Nell'esempio che riportiamo di seguito si vede bene che avere una vacca che produce 40 chili di latte al giorno ha un impatto sull'ambiente minore rispetto ad averne due che producono ognuna 20 chilogrammi. Nel primo caso infatti si emettono in atmosfera 148 chilogrammi di metano all'anno (considerando solo il gas enterico), nel secondo ben 234.

 

Le vacche più produttive producono meno metano/chilogrammi latte

Le vacche più produttive producono meno metano/chilogrammi latte

(Fonte foto: Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia dell'Università degli Studi di Milano)

 

Come conclude Maddalena Zucali, "l'obiettivo non può essere l'azzeramento delle emissioni, perché il metano enterico è fisiologico. Ma possiamo e dobbiamo lavorare per migliorarci, rendendo la produzione sempre più efficiente e meno impattante, anche attraverso strumenti di riconoscimento economico per chi riduce davvero le emissioni".