L'impatto zero per qualsiasi attività dell'uomo, compresa la produzione di alimenti, è solo un'utopia.
Questa la ferma convinzione espressa da Thom Huppertz, professore di Scienze e tecnologie lattiero-casearie all'Università olandese di Wageningen.
L'occasione per dibattere questo tema è venuta da un recente incontro virtuale, un webinar per dirla con un termine anglosassone, organizzato dall'Università Cattolica, attraverso il progetto Craft (Cremona Agri Food Technologies) e con il contributo di Ircaf, Centro di Riferimento Agroalimentare Romeo ed Enrica Invernizzi.
Conoscere per informare
Tema dell'incontro "Agrifood sustainability: knowing to inform", che possiamo tradurre con "Sostenibilità agroalimentare: conoscere per informare".
Coordinato da Lorenzo Morelli, ordinario di Microbiologia e direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una Filiera Agroalimentare Sostenibile, Distas, dell'Università Cattolica, l'incontro ha visto la partecipazione di Nicole Darmon de l'Inrae (il francese Institut National de Recherche pour l'Agriculture, l'Alimentation et l'Environnement).
Sua l'affermazione che non esiste una sola sostenibilità.
Perché oltre all'aspetto ambientale, quello a cui tutti pensano quando parlano di sostenibilità, esistono almeno altri tre aspetti da considerare: nutrizionale, culturale (e sociale), economico. Dunque, ha affermato Darmon, non esiste una dieta che si possa definire sostenibile ad ogni latitudine, dovendo rispondere a diversi prerequisiti, dalla sicurezza sino alla cultura del territorio che la esprime.
L'impossibile "dieta unica"
Partendo da queste considerazioni si possono individuare diversi fattori della sostenibilità.
Quello ambientale, con le emissioni di gas climalteranti e l'impatto su acqua e suolo.
Poi gli apporti nutrizionali per unità di peso e infine gli aspetti di ordine culturale ed economico.
Perché non si può prescindere dalle abitudini e tradizioni alimentari di un luogo e di una cultura.
Senza dimenticare che una dieta deve avere costi accessibili e comunque garantire redditi equi a chi la produce.
L'inevitabile compromesso
Nel caso del latte, ha ricordato Huppertz, il tema va affrontato prendendo in esame una molteplicità di fattori, che vedono coinvolti al contempo proprietà nutritive e salutari, aspetti culturali ed economici e le relazioni con l'ambiente.
Il risultato è inevitabilmente un compromesso, un trade off, come amano definirlo alcuni.
L'effetto che si ottiene è quello della "coperta corta", dove ridurre l'impatto ambientale si traduce in un aumento dei costi e dunque dei prezzi.
La sostenibilità ambientale si potrebbe allora rivelare insostenibile sotto il profilo etico di fronte a un mondo dove la fame è presente e continuerà a crescere insieme all'aumento della popolazione.
Il problema è troppo complesso per essere risolto in modo semplice. In altre parole, chiudere le stalle aumenterebbe i problemi anziché risolverli.
E' possibile seguire la registrazione del webinar utilizzando il seguente QR-Code.