E' questo lo scenario tratteggiato a Bergamo, in occasione della Giornata del mais 2017 organizzata dal Crea-Unità di ricerca per la maiscoltura, e a cui hanno preso parte i principali protagonisti della filiera maidicola tricolore.
I dati disponibili mettono impietosamente a nudo una situazione certamente critica, che qualcuno ha voluto paragonare addirittura alla sconfitta di Caporetto sofferta dall'Italia esattamente un secolo fa: mentre a livello internazionale la produzione di granella è aumentata, proiettando le riserve mondiali su livelli record, nel 2016 il Bel Paese è arretrato ancora una volta: circa 650mila gli ettari seminati a mais (-10% sul 2015, anno in cui già si era perso il 16% di superfici dedicate), per una produzione nazionale scesa a circa 6,6 milioni di tonnellate (-7% sul 2015).
Siamo dunque tornati, è stato ripetutamente sottolineato a Bergamo, ai livelli registrati agli inizi degli anni '90.
Aflatossine e Don
La coltura perde letteralmente terreno soprattutto a Nord-Est (Veneto, Friuli ed Emilia Romagna), mentre resistono poche province vocate (tra queste Cuneo, Bergamo, Brescia e Rovigo).
A livello comunitario l'Italia slitta al quarto posto, sia come estensioni che come produzione.
In leggero recupero soltanto le rese, la cui media nazionale si è attestata, nel 2016, di poco al di sopra dei 100 quintali per ettaro.
Qualche criticità anche per quanto riguarda la sanità della granella: i dati raccolti dalla ricerca pubblica ("Rete qualità mais") parlano infatti di un 12% dei campioni raccolti nel Nord Italia contaminati dall'aflatossina B1, mentre picchi di deossinivalenolo sono stati rinvenuti nei campioni provenienti dal Piemonte e da altre aree della pianura padana.
Cresce l'import
Alla luce della débâcle produttiva, non devono sorprendere le cattive notizie relative al tasso di auto-approvvigionamento nazionale, che dal 63% del 2015 nello scorso anno dovrebbe essere ulteriormente sceso al di sotto del 60%. Sempre stando alle proiezioni disponibili, nel 2016 l'Italia avrebbe importato 5 milioni di tonnellate di prodotto, provenienti per circa un terzo dall'Ucraina e costate nel loro complesso circa un miliardo di euro. Ma solo perché lo scorso anno il prezzo della commodity è risultato piuttosto basso, come ben sanno i maiscoltori italiani.
E a proposito di prezzi, le previsioni per i mesi a venire parlano di calma piatta: a livello europeo i corsi dovrebbero subire un lieve rialzo, ma certamente non tale da restituire entusiasmo e vigore ai nostri agricoltori.
Strategie di rilancio
Ed è proprio su come dare maggiore competitività alla filiera maidicola italiana che si sono confrontati gli esperti e le associazioni di settore (Assosementi, Associazione italiana maiscoltori, Associazione italiana raccoglitori essiccatori stoccatori e i mangimisti dell'Assalzoo) intervenuti alla giornata di Bergamo.
Inserimento del mais nel prossimo Piano nazionale cereali; fondi alla ricerca pubblica a sostegno dei monitoraggi e degli studi sulle performance varietali; porte aperte alle new breeding technologies: queste, in estrema sintesi, le misure invocate dai presenti.
Nella consapevolezza che il rilancio del mais è strategico anche per la nostra zootecnia e per la tenuta dei suoi prodotti-simbolo: "l'arretramento della produzione nazionale di mais - ha infatti osservato Giulio Usai di Assalzoo (Associazione tra i produttori di alimenti zootecnici) - mette a rischio anche le nostre produzioni Dop, i cui disciplinari prevedono elevate percentuali di alimenti prodotti in loco. Ecco perché l'inserimento del mais nel Piano nazionale cereali è indispensabile".
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