Pochi allevamenti di conigli e pochi farmaci. La connessione tra questi due fatti è presto spiegata. Predisporre un farmaco specialistico, come un antibiotico, un coccidiostatico o una qualsiasi altra categoria di farmaci, costa investimenti miliardari. Prima nella ricerca e poi nelle prove da attuare per le necessarie autorizzazioni all'immissione in commercio. Costi che possono essere sostenuti solo potendo contare su grandi volumi di vendite. E in campo zootecnico non si può fare leva sul prezzo finale del farmaco, costretto a costare il meno possibile, per non essere messo fuori mercato (diverso è il caso degli animali da compagnia, dove l'aspetto etico sopravanza quello economico). Nell'allevamento del coniglio solo Italia, Francia e Spagna, a livello europeo, sono interessate all'allevamento del coniglio da carne. Altrove, in particolare nei paesi del Nord Europa, il coniglio è visto più come un animale da compagnia piuttosto che come produttore di proteine nobili. Come conseguenza le industrie farmaceutiche, pur disponendo di molecole utilizzabili in coniglicoltura, non procedono alla richiesta di autorizzazione all'impiego in questo settore, perché i costi delle procedure rendono la partita diseconomica. E finisce che i veterinari devono arrampicarsi sugli specchi per trovare soluzione alle patologie del coniglio e gli allevatori di conseguenza sono in molti casi senza presidi farmaceutici adeguati a proteggere i loro animali.

 

Problema antico

Il problema non è di oggi e si trascina da tempo senza trovare un'adeguata soluzione. E' di questi giorni però la presa di posizione di Aisa, l'associazione delle industrie della salute animale aderenti a Federchimica, che ha voluto denunciare la difficile situazione del settore. Ed è proprio in Italia, leader in europa nella produzione di carne cunicola (circa 230mila tonnellate, il doppio della Spagna e almeno quattro volte più della produzione francese) che il problema della scarsità di farmaci autorizzati si fa sentire di più. La forte specializzazione degli allevamenti e gli importanti successi nel miglioramento genetico degli animali, non hanno messo al riparo dalle malattie di questa specie animale, che come e più delle altre (il coniglio è un “ansioso congenito”) è soggetta a malattie infettive e non. Per malattie importanti come la mixomatosi e l'enterite emorragica, evidenzia Aisa, esistono vaccini specifici. Ma resta scoperta la prevenzione di molte altre patologie. L'industria farmaceutica italiana da tempo chiede una semplificazione delle autorizzazioni all'immissione in commercio (Aic) per il settore cunicolo. Per giunta queste procedure sono più complesse e lunghe in Italia rispetto ad altri paesi. In ballo c'è anche la tutela del benessere degli animali, certamente compromesso da patologie per le quali è difficile fare prevenzione e che sono ancora più difficili da debellare per l'assenza di adeguati presidi farmaceutici. Un problema, mette in luce la stessa Aisa, che si ripercuote alla fine sulla redditività degli allevamenti e sulla qualità delle produzioni.

 

Cosa serve

La richiesta è dunque quella di aprire per il settore della coniglicoltura un canale semplificato per l'introduzione di farmaci dedicati a questa specie animale. Una richiesta che già in passato è stata espressa dal mondo degli allevamenti. Visto che hanno un obiettivo comune, industrie e allevatori dovrebbero unire le energie e gli sforzi per arrivare ad una soluzione. Se ne saranno capaci i vantaggi saranno per tutti, consumatori compresi, che avranno nel piatto carni ancora più sicure.