Gli allevatori di suini si accingono ad una importante svolta. Abbinare alla produzione del suino pesante destinato alla trasformazione anche quella di un suino “intermedio” (o leggero, comunque non più di 130 kg) per la produzione di carne. L’obiettivo è quello di alleggerire il mercato del prosciutto Dop, dove c’è un eccesso di offerta che penalizza i prezzi, e al contempo proporre una carne suina “Made in Italy”, visto che quella che si consuma oggi è per gran parte di importazione. Sin qui il progetto, semplice nella sua essenza, ma assai complicato da realizzare per le molteplici implicazioni, non ultime quelle di natura genetica, alla base sia della produzione di un prosciutto di qualità, sia di una carne di eccellenza.

 

Carne e prosciutti

Per quegli allevatori che non volessero abbandonare la produzione del suino pesante e al contempo ottenere carni tenere e di qualità anche per il consumo fresco, c'è una via di uscita. La risposta arriva dalle ricerche condotte dal Crpa nell’ambito di un progetto finalizzato ad indagare i rapporti fra base genetica e qualità delle carni e dei prosciutti. La ricerca, sostenuta dalla Regione Emilia Romagna e alla quale hanno collaborato Università, enti di ricerca e imprese private, si è posta l’obiettivo di approfondire gli effetti del genotipo sulle proprietà dei tagli destinati al consumo fresco oppure alla stagionatura. In pratica si è voluta verificare la compatibilità e l’eventuale correlazione fra tenerezza dei tagli da consumo fresco e l’idoneità delle cosce a fornire prosciutti capaci di soddisfare le richieste dei disciplinari di tutela e degli stagionatori. La ricerca ha utilizzato tecniche di genetica molecolare ed ha preso le mosse a partire da sei geni per i quali già erano stati segnalati gli effetti sulle caratteristiche qualitative della carcassa e della carne. Fra questi il gene Titina (TTN) parrebbe contraddistinguere i soggetti che presentano prosciutti con maggiori pesi, minori cali e quindi una più elevata resa di stagionatura. Altri geni (il PRKAG3 e CAST) sembrerebbero invece legati ad alcune caratteristiche tecnologiche della carne fresca e con parametri del prosciutto stagionato.

 

I risultati

Le ricerche hanno preso in considerazione numerosi elementi, dai fattori che influenzano l’assorbimento del sale da parte della coscia, al tempo post-mortem prima della salagione (i prosciutti salati a 96 ore dalla macellazione tendono ad assorbire meno sale) sino ai rapporti fra genotipo e pH, colore e marezzatura dei prosciutti, proprietà della carne. In conclusione i risultati degli studi hanno dimostrato che non c’è incompatibilità fra la tenerezza dei lombi per il consumo come carne fresca e la qualità dei prosciutti stagionati, caratteristiche che si riscontrano con modulazioni diverse nei genotipi corrispondenti ai polimorfismi per TTN, CAST638 e PRKAG3.

Le ricerche non possono ancora dirsi concluse, ma le prime indicazioni tracciano già una rotta interessante per raggiungere l’obiettivo finale. Ora non resta che aspettare la messa a punto di marcatori genetici che con un semplice esame di routine consentano di sapere in anticipo se abbiamo di fronte animali capaci di fornire prosciutti di qualità e carni tenere e apprezzate (e magari pagate per quanto valgono). O se al contrario bisogna rimettere mano alla selezione.