Farine di carne, grandi imputate nella comparsa della Bse, il morbo di vacca pazza che ha imperversato nelle stalle (e sopratutto sui media...) di tutta Europa e in particolare in quelle inglesi dalle quali l'emergenza sanitaria è partita. C'è voluto un po' di tempo per comprendere il legame (ancora non del tutto chiaro, peraltro) fra proteine della carne, prioni e comparsa delle encefalopatie trasmissibili, come la Bse. Per questo motivo si è dovuto attendere il 2001 per far scattare in tutta l'Unione europea il divieto di impiegare le farine di carne nell'alimentazione degli animali in produzione zootecnica. Nessun divieto invece per l’impiego delle farine di carne nelle diete di quegli animali che nulla hanno a che vedere con l'alimentazione dell'uomo, come ad esempio cani e gatti. Una misura drastica, ma bisogna prendere atto della sua efficacia nella prevenzione della Bse, di fatto scomparsa.

 

Vantaggi sanitari, ma costi esorbitanti

Agli allevamenti è però venuta a mancare un'importante fonte proteica che ha costretto ad aumentare il ricorso alle proteine vegetali, soia e altre proteaginose, delle quali l'Unione europea è deficitaria. Maggiore sicurezza, dunque, ma anche maggiori costi di produzione. E ora che la Bse fa meno paura ecco arrivare dalla Polonia, un po' a sorpresa, la proposta di accelerare i tempi per la revisione del divieto all’impiego delle farine di carne nell'alimentazione di ruminanti, suini e polli (questi ultimi possono già usare però le farine di pesce). La proposta, giunta a margine del Consiglio dei ministri agricoli della Ue che si è svolto a Bruxelles il 21 febbraio, ha trovato parziale accoglimento da parte del Commissario europeo alla Salute, John Dalli. Secondo il Ministro polacco Marek Sawicki il ritorno delle farine di carne nell’alimentazione degli animali consentirebbe di ridurre di ben il 35% la dipendenza della Ue nei confronti delle importazioni, in particolare di soia. Un vantaggio al quale si aggiungerebbe la riduzione dei costi di smaltimento degli scarti di macellazione e un conseguente miglioramento della competitività delle produzioni animali della Ue nel confronto internazionale. Motivazioni economiche che non sgombrano il campo dalle preoccupazioni di carattere sanitario.

 

L’Italia contraria

Il Consiglio dei ministri, infatti, ha ribadito la necessità che ogni decisione su questa materia debba sottostare al preventivo parere delle risultanze scientifiche. Una posizione condivisa con convinzione dal ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan.  “Si tratta - ha detto il ministro - di un argomento estremamente delicato non solo dal punto di vista politico, ma anche per le ripercussioni sulle produzioni alimentari nell’Unione europea e per il forte impatto che esso ha sull’opinione pubblica. Ogni nuova proposta - ha continuato il ministro - dovrà essere basata su solidi criteri scientifici.” Una posizione accolta da molti con favore e fra questi il presidente di Copagri, Franco Verrascina, dal quale è giunto l'auspicio che “la richiesta del ministro Galan trovi concreto riscontro prima nel necessario rinvio di qualsiasi decisione e, quindi, nell'inequivocabile valutazione della scienza.”

 

Ogm, maglie più larghe

Resta dunque il no alle farine di carne, ma in compenso si allenta, seppure di poco, la tolleranza zero per gli Ogm su mais, soia e altre materie prime importate e fondamentali nella preparazione dei mangimi. La Ue ha infatti deciso che la presenza di tracce di Ogm, non comporterà il respingimento delle partite. Tracce che devono in ogni caso essere inferiori allo 0,1% e riguardare Ogm autorizzati nei paesi di origine oppure in attesa di autorizzazione da parte della stessa Ue. Ora la parola passa al Parlamento Europeo che potrà eventualmente opporsi a questa decisione che ha però il merito di armonizzare le procedure di controllo, mantenendo al contempo alta la soglia di vigilanza.