“Di crossbreeding, nei prossimi anni, sentiremo parlare sempre più spesso. Sarebbe sbagliato pensare che questa nuova pratica possa rappresentare una sorta di bacchetta magica in grado di risolvere i problemi esistenti negli allevamenti di vacche da latte, ma se vogliamo mantenere un animale fertile e longevo, quella dell’incrocio tra razze diverse rappresenta la strada da percorrere”.
Giovanni Bittante, Ordinario di Zootecnica generale e miglioramento genetico presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Padova, su questo tema non ha dubbi. “Negli allevamenti italiani di vacche da latte il crossbreeding ha iniziato a essere praticato negli ultimi 3-4 anni, e anche in America, dove i risultati ottenuti sono particolarmente soddisfacenti, l’interesse si è manifestato non più tardi di una decina di anni fa.
Del resto, le ricerche scientifiche che abbiamo portato avanti attraverso l’Università con i colleghi olandesi, irlandesi e neozelandesi dimostrano che per sopperire al calo della fertilità sempre più evidente nella razza Frisona, il crossbreeding rappresenta uno strumento utile e importante, a patto che venga utilizzato bene, a cominciare dall’impiego di razze pure, altrimenti si rischierebbe di generare solo confusione”.
In Italia, gli allevamenti di vacche da latte che stanno adottando questa nuova pratica sono in costante aumento e dall’ottobre dello scorso anno è nata l’Associazione nazionale Dairy Cross, che dagli iniziali 30 associati, oggi vede questo numero già raddoppiato.
“Attualmente contiamo che siano circa 400 le stalle italiane dove si pratica il crossbreeding – afferma Claudio Zoboli, presidente dell’Associazione – e il numero è in costante ascesa anche in virtù del fatto che ogni anno entrano in produzione da incrocio 5mila manze”.
Ma quali sono i vantaggi e le eventuali criticità di questa pratica?
“Oggi i problemi maggiori della Frisona – spiega Bittante – sono legati alla fertilità e alla longevità, determinati dall’aumento della produzione di latte che la selezione di questa razza ha via via garantito negli anni. Incrociandola con razze diverse come la Bruna, la Pezzata Rossa, la Jersey, tanto per citarne alcune, questa criticità potrebbe trovare una valida soluzione. Non solo. I nostri studi confermano che tra i risultati più apprezzabili va evidenziata la qualità del latte e la sua ottima resa casearia e questo, per produzioni come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, rappresenta la certezza di poter ottenere formaggi di qualità sempre migliore.
Un aspetto che potrebbe essere considerato una criticità, ma che a mio avviso non lo è, riguarda la quantità di latte prodotto che per ogni singolo soggetto registra una leggera diminuzione, compensata però da una maggiore resa casearia, da un miglioramento dell’efficienza dell’animale che si traduce in più fertilità, numero superiore di gravidanze, maggiore facilità al parto, ottima longevità”.
Alla 65ma edizione della Fiera internazionale del bovino da latte (Cremona 28-31 ottobre) i temi della selezione genetica e della produttività saranno certamente al centro di un dibattito aperto tra gli allevatori europei, che si ritroveranno a Cremona anche in occasione del Confronto europeo di Razza Holstein e Red Holstein, la più importante manifestazione zootecnica internazionale.
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Fonte: Cremona Fiere