Le cover crop, o colture di copertura, se ben inserite nel piano di rotazioni possono avere molti risvolti utili nella gestione del terreno.

 

L'uso delle cover crop può servire infatti a varie cose, come a proteggere il terreno dall'erosione, ad apportare sostanza organica e sostanze nutritive, ad evitare la lisciviazione dell'azoto.

 

Ma che effetto hanno sulle piante infestanti? Possono essere utili per il loro controllo? 

 

Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato Daniele Antichi, professore di Agronomia dell'Università di Pisa che assieme a colleghi italiani dalla Scuola Sant'Anna di Pisa e ricercatori francesi, ha appena pubblicato sulla rivista Field Crop Research, i risultati di uno studio sugli effetti a lungo termine delle colture di copertura sulla così detta seed bank del terreno, cioè il contenuto di semi di infestanti presenti nello strato attivo del suolo.

 

Professor Antichi, cosa è stato valutato in questo studio?
"In questo studio è stato valutato l'effetto di lungo termine prodotto a carico della flora infestante dalla coltivazione sistematica di diverse colture di copertura all'interno di una rotazione quadriennale (mais da granella, frumento duro, girasole e frumento duro) praticata sui terreni del Centro di Ricerche Agroambientali 'Enrico Avanzi' dell'Università di Pisa.

 

In particolare, ci siamo posti l'obiettivo di testare se la coltivazione della stessa tipologia di cover crop, ripetuta nel tempo, potesse portare a modificare la quantità e la composizione dei semi delle infestanti nel terreno. In caso affermativo, volevamo anche testare se tale effetto potesse avere conseguenze anche a carico della cosiddetta flora reale, ossia le piante infestanti emerse e presenti sul terreno al momento della coltivazione delle colture da reddito.

 

Non ultimo, volevamo anche valutare come un eventuale effetto a carico della seed bank potesse portare, a lungo andare, anche a migliorare le rese delle colture da reddito, grazie ad una ridotta presenza di piante infestanti, in particolare di quelle più competitive per le colture presenti in rotazione".

 

Che tipo di cover crop sono state valutate?
"Nell'esperimento in questione, le cover crop sono a ciclo autunno vernino. Si seminano nell'autunno successivo alla raccolta del frumento e vengono devitalizzate in primavera prima della semina della coltura primaverile (mais e girasole).

 

In pratica, sono presenti sulla stessa parcella 1 anno su 2. Nel piano sperimentale, sono presenti, oltre ad un controllo inerbito spontaneamente (quindi privo di coltura di copertura), 3 diverse tipologie di cover crop. Abbiamo una essenza non leguminosa (nel periodo sperimentale era rappresentata dalla senape), una essenza leguminosa azoto fissatrice (la veccia) ed un mix delle 2.

 

La ricerca ha considerato anche l'effetto del tipo di gestione del suolo, basata, su una parte delle parcelle, sulla lavorazione 'convenzionale' (aratura annuale a 30 centimetri), e sulla rimanente sulla lavorazione 'conservativa' (discissura a 30 centimetri per mais e girasole, semina su sodo per il frumento duro). In entrambi i casi, le cover crop sono devitalizzate meccanicamente con un'erpicatura superficiale. La lavorazione principale delle colture primaverili, infatti, viene anticipata all'autunno durante la preparazione del terreno per la semina delle cover crop".

 

daniele-antichi-by-unipi-1200x800-jpg.jpg

Il professor Daniele Antichi dell'Università di Pisa

(Fonte foto: Università di Pisa)

 

Che significa che lo studio è di lungo termine?
"Gli studi di lungo termine (in inglese Lte, long term experiments) sono ricerche condotte in campo in maniera ripetitiva per almeno 10 anni per testare nel tempo gli effetti di tipo agronomico, ambientale o socio economico di alcune pratiche colturali come, ad esempio, la lavorazione del terreno, l'avvicendamento delle colture, la fertilizzazione o il controllo delle infestanti.

 

Talvolta, anziché testare singole pratiche colturali, gli Lte testano l'efficacia di interi sistemi colturali, ossia di strategie complessive basate sulla modulazione di più elementi della tecnica colturale (ad esempio diverse strategie di lavorazione del terreno in combinazione con diversi livelli di concimazione delle colture).

 

La necessità di studi di lungo termine nasce dal fatto che alcuni effetti di queste pratiche agronomiche richiedono molti anni prima di diventare tangibili (ad esempio il contenuto di sostanza organica dei suoli), oppure per altri è richiesto un orizzonte temporale sufficientemente ampio per valutarne la stabilità o, al contrario, la variabilità in relazione agli andamenti meteorologici o al contesto sociale, economico e politico dell'agricoltura".

 

Quali sono stati gli effetti sulle infestanti?
"Nel nostro studio, abbiamo osservato un netto effetto di soppressione della banca semi da parte della veccia rispetto alla senape e al testimone non trattato. In particolare, abbiamo osservato una percentuale di riduzione molto alta (fino ad oltre l'80%) nei confronti dei semi di alcune specie infestanti (ad esempio la fienarola, cioè la Poa annua, la peverina dei campi, cioè il Cerastium glomeratum, e la veronica comune, cioè la Veronica persica), tipiche dei cereali autunno vernini in quanto a germinazione autunnale e a fioritura primaverile.

 

Riteniamo che questo effetto soppressivo della veccia derivi dalla competizione esercitata negli anni nei confronti delle infestanti soprattutto durante il periodo in cui la cover crop era presente in campo (autunno e primavera). Non escludiamo che la veccia, una volta interrata, possa aver anche stimolato la crescita delle colture in successione, andando così a disturbare ulteriormente queste piante infestanti e impedire loro di arrivare a seme in maniera ottimale".


Le cover crop quindi possono essere utili in un piano di gestione integrata delle malerbe?
"Senza dubbio. Sono ben noti in letteratura gli effetti soppressivi delle cover crop nei confronti delle infestanti, in particolare nei confronti di quelle che ne condividono il ciclo di crescita. Più raramente sono stati invece osservati effetti duraturi sulla comunità delle infestanti presenti nelle colture primaverili estive che seguono la devitalizzazione delle cover crop.

 

A questa regola si sottraggono le cosiddette cover crop allelopatiche, come ad esempio la segale, capaci infatti di rilasciare nel terreno sostanze capaci di inibire lo sviluppo di altre piante, in particolare delle infestanti.

 

Nel nostro studio, tuttavia, l'effetto tangibile osservato nel lungo termine sulla banca semi del suolo non ha trovato riscontro nella biomassa delle infestanti a raccolta delle colture da reddito, che non ha mostrato differenze significative tra i trattamenti. La spiegazione che ci siamo dati è che altri elementi della tecnica colturale, come la lavorazione del suolo e il diserbo chimico, praticati nella ricerca in questione, possano aver smussato la portata dell'effetto soppressivo delle cover crop nei confronti delle malerbe. Si conferma, quindi, la validità dell'approccio integrato alla gestione delle infestanti, secondo il quale non i singoli elementi del sistema colturale (ad esempio cover crop o diserbo chimico) ma il loro insieme, definito in maniera razionale e coerente, che può permettere di ottenere i massimi risultati in materia di contenimento delle infestanti".