Dimostrare per certo che qualcosa non è dannoso è infatti impossibile. Non tanto perché i numeri non ci siano, quanto perché su quei numeri aleggia sempre il dubbio che, guardando meglio, magari da altre parti, quei numeri possano cambiare.
E quando questi dubbi vengono usati in modo furbesco la gara per ristabilire l'ordine delle cose diviene molto difficile.
Uno dei casi che aiutano a comprendere meglio quanto detto sopra è legato alle accuse a glifosate di causare malattie terribili: SLA, sclerosi varie, Parkinson, Alzheimer e via discorrendo. Prove solide di ciò, nessuna, ma illazioni tante. Una fra le più usate poggia le basi su una pubblicazione che da alcuni anni circola in rete, ovvero quella di Anthony Samsel e Stephanie Seneff, pubblicata nel 2016 su Journal of Biological Physics and Chemistry. Il titolo è “Glyphosate pathways to modern diseases V: Amino acid analogue of glycine in diverse proteins”. In sostanza, si paventano tali malattie a causa della somiglianza di glifosate alla glicina, un aminoacido alla base delle nostre proteine.
La tesi della ricerca è infatti la seguente: se glifosate ingannasse il processo di biosintesi delle proteine, subentrando nella sequenza aminoacidica al posto della glicina, quelle proteine potrebbero mutare nella propria struttura e causare alterazioni nella fisiologia di diversi processi metabolici, aprendo la via alle suddette patologie. Questo, ovviamente, solo nelle ipotesi.
Chi conosce un minimo il processo di biosintesi delle proteine sa che ogni aminoacido viene "pescato" nel citoplasma cellulare da una specifica molecola di t-RNA, cioè l'RNA cosiddetto "transfer" adibito al trasporto di un ben preciso aminoacido ai ribosomi, complessi macromolecolari ove uno dopo l'altro gli aminoacidi verranno posti in fila assecondando l'informazione portata fuori dal nucleo dall'm-RNA, ovvero l'RNA messaggero. Quello che fa da "stampo" per come i geni contenuti nel DNA gli hanno detto di fare.
Il t-RNA riconosce il suo specifico aminoacido, lo conduce al ribosoma e lo "incastra" dove il filamento di m-RNA gli dice di incastrarlo. Ciò porterà alla fine del processo a una proteina con una struttura assolutamente specifica, dovuta proprio alla sequenza degli aminoacidi posti uno dietro l'altro.
Ora, sostengono gli scienziati, se glifosate dovesse sostituirsi alla glicina, ingannando il suo t-RNA, potrebbe intrufolarsi nel filamento aminoacidico alterando la struttura finale e quindi la funzionalità della proteina. E da qui le mille patologie elencate nella ricerca in questione. Del resto, vi sono degli analoghi di aminoacidi che ci riescono, quindi perché non dovrebbe riuscirci glifosate?
La domanda è: succede davvero? E la risposta tende asintoticamente al no. Innanzitutto, la ricerca è piena di "if" (se), "unknown effects" (effetti sconosciuti) e altre forme dubitative e sospensive di giudizio finale. A riprova che un conto è descrivere un fenomeno noto e misurato, un altro è ipotizzarlo e basta. Nonostante ciò, gli effetti di tale sostituzione vengono definiti "catastrophic" su molteplici livelli. Uno strano approccio quello di definire "catastrofico" qualcosa nei fatti sconosciuto. Perché se è sconosciuto, come si fa a definirlo "catastrofico"? Ma proseguiamo.
Molto di ciò che sostengono i ricercatori si baserebbe su una ricerca svolta con glifosate contenente carbonio radiomarcato, somministrato a cavie in laboratorio in ragione di 10 mg/kg di peso vivo. In sostanza, un uomo di 70 chilogrammi dovrebbe assumere in un colpo solo la bellezza di 700 milligrammi di sostanza attiva, cioè l'equivalente di ciò che si può stimare assuma nell'arco di oltre mezzo millennio. Ad arrivarci, ovviamente. Ma non basta.
I roditori erano stati "precondizionati" ricevendo per 14 giorni la medesima dose di glifosate non radiomarcato. In sostanza, quelle povere bestiole hanno ricevuto in due settimane più il test un ammontare complessivo di 150 milligrammi per chilo di peso corporeo. Il suddetto uomo di 70 chili dovrebbe vivere quindi circa 10 mila anni per assumere la medesima dose somministrata alle cavie in soli 15 giorni.
Giunti a tale considerazione, la partita potrebbe già definirsi chiusa, in quanto trattasi dell'ennesima prova di laboratorio completamente disconnessa dagli scenari reali. Ma si preferisce comunque proseguire con altre valutazioni nel metodo e nel merito.
Da tale studio i ricercatori avrebbero infatti osservato come lo 0,3% del glifosate somministrato sarebbe stato espulso dal corpo con la respirazione. Ciò in effetti non stupisce, in quanto l'erbicida viene escreto con le feci in ragione di circa 2/3 di quanto ingerito. Un altro terzo viene eliminato con le urine e meno dell'1% subisce l'azione di enzimi che lo degradano in AMPA, suo metabolita, oppure finisce nell'alito di chi lo ha assimilato. Parlare quindi di "bioaccumulazione" negli organi di un prodotto altamente idrosolubile e facilmente eliminabile come glifosate appare quanto mai fuori luogo.
Ma al di là della distanza siderale fra quanto fatto in laboratorio e mondo reale, vi è anche un altro ragionamento da seguire. Ovvero quanto glifosate potrà mai girovagare nel citoplasma cellulare a confronto con il numero di molecole di glicina. Essendo questa un aminoacido molto presente nelle proteine, viene assorbito in grandi quantità col cibo, come pure segue un continuo turnover nelle cellule. Le proteine vengono infatti smontate e rimontate più e più volte usando in buona parte aminoacidi già utilizzati in precedenza.
Si stima che un organismo sano possa avere un turnover proteico intorno ai 300 grammi al giorno. Cioè 300 grammi di proteine verrebbero smontate e poi rimontate dall'organismo assemblando aminoacidi già presenti insieme ad altri assunti con la dieta. Fra questi, la glicina la quale è fra gli aminoacidi più presenti nel corpo umano anche perché facilmente sintetizzabile in proprio. Basti pensare che la glicina rappresenterebbe il 25% della composizione aminoacidica del collagene, proteina fra le più abbondanti nel Regno animale [Fonte: S. Scannerini (1999): "Piante e Animali - Strutture della vita". Pag. 175. Ed. Jaca Books].
Ben si comprende quindi come il rapporto di massa fra le eventuali e sparute molecole di glifosate e l'esercito delle molecole di glicina presenti nel corpo umano sia probabilmente nell'ordine di una a incalcolabili miliardi.
Se anche fosse quindi vera l'ipotesi della sostituzione truffaldina, eventualità che già di per sé appare estremamente improbabile, il t-RNA specifico per la glicina avrebbe così tante molecole "originali" fra cui pescare che di agganciarne una di glifosate vi è da credere proprio non ci pensi nemmeno.
Infine, anche se tale intrufolamento accadesse davvero, è tutto da dimostrare che ciò comporti qualche anomalia nell'organismo e che tale anomalia possa generare patologie così gravi. Una ridda di ipotesi inscatolate in se stesse che quindi ricade più che altro nel capitolo "illazioni". Eppure, tale ricerca è stata rilanciata più e più volte nei social, fungendo da riferimento bibliografico a chiunque desiderasse buttare benzina sul rogo appiccato ai piedi del noto erbicida.
Meglio sarebbe che quando di evidenze e di conferme non se ne hanno, i ricercatori si astenessero dal pubblicare ricerche basate sui "se" e sui "potrebbe", attenendosi solo alle prove che essi hanno a disposizione. Perché il compito di ogni ricercatore è quello di provare ciò che dice, non di fomentare dubbi basati sul nulla.
Perché la tossicologia, in fondo, è più semplice da comprendere di quanto sembri.