Così titolarono alcuni articoli su web quando nel maggio 2016 si palesò l'intenzione di Bayer di acquisire Monsanto. I sottotitoli erano più o meno del genere "Prima ci fanno ammalare coi pesticidi, poi ci curano con le medicine". Il mondo ambientalista infatti, sempre creativo e fantasioso sul fronte della comunicazione, non prese affatto bene la notizia di tale acquisizione, facendo partire l'usuale allarme circa la concentrazione in poche mani del business degli agrofarmaci e delle sementi.
In effetti, negli ultimi 25 anni tra fusioni e acquisizioni è di molto calato il numero di aziende che operano nel comparto dei mezzi tecnici per l'agricoltura. Sono infatti divenuti ricordi del passato nomi come Rohm & Has, Rhône Poulenc, Ciba Geigy, Solplant, Hoechst, Schering, Ely Lilly, Elanco, Sandoz e molti altri. Oggi la maggior parte del business agrochimico e sementiero mondiale è raccolto davvero nelle mani di pochissimi player, come Basf, Syngenta, la neonata Corteva, fusione di Dow e Dupont, e oggi Bayer, la quale acquisendo Monsanto porta in casa un portfolio invidiabile di genetiche, acquisendo al contempo anche un business di tutto rispetto come quello del marchio Roundup, nonostante le disavventure che il glifosate sta passando in Europa.
Le nozze implicano però anche il solito rovescio della medaglia. La Ue ha infatti dato sì il via libera all'acquisizione, con i suoi bei 66 miliardi di dollari in ballo, ma ha condizionato la luce verde alla cessione da parte della Casa tedesca di alcuni suoi business attuali. Forte infatti il peso di Monsanto nel settore delle genetiche orticole, quindi Nunhems va mollata. E pare che si sposterà di poco, restando in Germania, se è vero che a rilevarla sarà Basf. Tutto il settore sementiero di Bayer, in effetti, subirà importanti ridimensionamenti, venendo toccati anche cotone e soia.
Pure le registrazioni contenenti glifosate dovranno sparire, o per lo meno cambiare mano. Rinunce che potrebbero tutto sommato impattare molto meno di quanto si pensi il fatturato di Bayer nel futuro post-acquisizione. I 6 miliardi di attività da avviare a cessione, infatti, potrebbero essere in buona parte compensati dai nuovi business acquisiti, i quali non si vede perché non possano crescere andando a colonizzare gli spazi lasciati vuoti da tali dismissioni.
Prima concorrenti, ora una cosa sola: solo il mercato potrà quindi dire se e quanto calerà il turnover del nuovo colosso, somma dei due precedenti.
Di certo, tali processi di accentramento del business agricolo sono figli di ben precise evoluzioni globali. Se il mercato di agrofarmaci e sementi stesse crescendo al tasso col quale cresceva negli anni '80, e se registrare una nuova molecola non costasse dieci volte tanto quello che costava allora, forse tante fusioni e acquisizioni non si sarebbero viste.
Di "trippa" disponibile ve ne sarebbe stata infatti in abbondanza per una discreta molteplicità di "gatti". Quando però servono 10 - 15 anni e quasi 200 milioni di dollari per sviluppare una nuova molecola, oppure un nuovo ibrido ogm, se non sei bello grosso mica te lo puoi permettere. Se poi le normative pongono pure restrizioni sempre più severe agli usi in campo, magari impedendo business importanti come quelli biotech in interi continenti, tipo l'Europa, la crescita dei fatturati non compensa più quella dei costi. E così ci si deve accorpare. Anche perché gli investitori in borsa mica sono famosi per la comprensione verso i problemi altrui: se non porti dividendi appetibili, ti mollano.
Quindi, cari ambientalisti che pare viviate per danneggiare le multinazionali: le avete attaccate in tutti i modi? Avete preteso giri di vite sempre più coercitivi? Le avete messe in difficoltà? E ora accettatene le conseguenze. Così come non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena, non si può creare prima le condizioni per tali fusioni, salvo poi lamentarsene quando esse avvengono.