Proseguiamo a pubblicare alcuni interessanti abstrat di interventi presentati durante il VI Convegno Nazionale sulla Peschicoltura Meridionale avvenuto il 6-7 Marzo 2008 a Caserta presso il complesso monumentale Belvedere di San Leucio. Questo intervento è stato presentato da T. Caruso (Dipartimento di Colture Arboree dell'Università di Palermo), C. Di Vaio (Dipartimento di Arboricoltura e Patologia Vegetale dell'Università Federico II di Napoli), F. Guarino (O.P Sibarit di Castrivillari – Cosenza) e O. Musso (Azienda Agricola Samuele di Scicli – Ragusa). 

 

Nonostante nella peschicoltura meridionale prevalgano impianti a media densità (500-600 piante/ha) basati sulla forma d'allevamento a vaso, negli ultimi 20 anni questo settore è stato soggetto a profondi cambiamenti che hanno riguardato non solo le varietà ed i portinnesti, ma anche i sistemi d'impianto ed i relativi criteri di gestione. E' infatti importante in frutticoltura pensare che per ottenere risultati soddisfacenti non è possibile indirizzarci soltanto verso l'innovazione varietale e l'innovazione in termini di portinnesti, ma anche trovare sistemi d'allevamento e tecniche di gestione che permettono a queste varietà di crescere e produrre al meglio.

Il mezzogiorno presenta peculiari condizioni climatiche, quali l'elevata luminosità, le miti temperature autunnali ed il basso tasso d'umidità relativa. Queste caratteristiche hanno permesso la diffusione d'impianti ad alta densità. Sono infatti oggi diffusi in alcune aree (ad es. Piana del Sele e Piana di Sibari) impianti con densità di oltre 1000-1100 alberi/ha allevati ad Y trasversale.

A causa però dell'aumento dei costi di produzione e della riduzione dei prezzi corrisposti al frutticoltore si è registrata un'inversione di tendenza che fa propendere la scelta verso impianti che consentano riduzione dei costi ed elevati livelli produttivi. Si registra infatti una caduta d'interesse nei confronti delle 'doppie pareti inclinate' che a causa degli elevati costi d'impianto e di gestione riescono a garantire successo economico solo se si è in contesti di alti prezzi di commercializzazione.

Una valida alternativa alle suddette tipologie d'impianto sembrano essere rappresentate dal 'Vaso ritardato', che nella sua interpretazione meridionale (450-550 piante/ha) si è affermato soprattutto nel metapontino, e dal 'Vaso catalano'. Entrambe le forme d'allevamento rispetto all'Y trasversale consentono di pervenire a notevoli risparmi sia relativamente ai costi d'impianto che nella minore richiesta di manodopera. Tuttavia col vaso ritardato si perdono i vantaggi delle alte densità d'impianto, che invece viene superato con il vasetto catalano (che peraltro favorisce la meccanizzazione e la potatura). Il vasetto catalano è un modello d'impianto basato su circa 900 piante/ha allevate a vaso, che viene mantenuto basso attraverso 3-4 interventi di topping praticati durante la stagione vegetativa ed interventi di apertura effettuati sulle 4-6 branche principali per mantenere bassa la pianta.

 

La tendenza a ridurre la densità d'impianto si riscontra anche nella coltura protetta dove, fino a pochi anni addietro, sono stati condotti con successo impianti con circa 5.000 piante/ha (vasetto a chioma permanente). La minore disponibilità di manodopera, assieme all'aumento dei costi colturali hanno reso infatti non più sostenibile la suddetta tipologia d'impianto. Sempre con riferimento alle condizioni di serra, nell'ambito delle doppie pareti d'impianti, rimane ancora da stabilire l'effettiva convenienza ad adottare la forma di allevamento a V (ottenuta utilizzando circa 2.200 astoni/Ha). Infine anche sotto serra sono state evidenziate esperienze con vasetto catalano con risultati che sembrano promettenti.

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