Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi e gli altri Stati del Golfo Persico sono famosi per le città costruite nel deserto a suon di petroldollari. I giacimenti di idrocarburi hanno donato infatti un'enorme ricchezza a questi Stati, che tuttavia si sentono insicuri. Da un lato infatti le economie sono floride e la popolazione è in aumento, dall'altro però l'assenza quasi totale di terre coltivabili costringe questi Stati ad importare praticamente tutto il cibo di cui hanno bisogno. Complice anche il covid-19, che ha svelato la fragilità della catena di approvvigionamento mondiale di cibo, negli ultimi tempi le principali capitali del Golfo hanno intrapreso degli ambiziosi piani per rendersi autosufficienti nella produzione di cibo.


Le poche terre arabili disponibili sono state messe a frutto, sfruttando le riserve idriche del sottosuolo. Come però ha svelato l'ultimo report della Fondazione Barilla, si tratta di una strategia poco lungimirante, poiché le riserve idriche freatiche sono limitate e non si possono rigenerare, mancando le precipitazioni atmosferiche. Si tratta infatti di giacimenti antichissimi, che per essere sfruttati hanno bisogno di un ingente consumo di energia, poiché l'acqua deve essere estratta in profondità, depurata e raffreddata, visto che sgorga ad alta temperatura ed è ricca di metalli pesanti e di altre sostanze dannose.

 

Moderne serre, come Red Sea Farms, sono state realizzate per produrre ortaggi freschi con l'acqua di mare. Anche se la tecnologia che affascina di più gli sceicchi è quella del vertical farming, che permette di produrre insalate ed erbe aromatiche, ma potenzialmente qualunque coltura, in ambienti chiusi grazie all'utilizzo delle lampade led. Certo, si tratta di produzioni che assorbono moltissima energia, ma si sa, nel Golfo questa non manca.

 

Mentre i fondi di investimento sauditi e qatarini puntano sulla carne coltivata, che in futuro permetterebbe di eliminare gli allevamenti, i Governi locali stanno costruendo delle proprie industrie zootecniche. Non più carne e latte importati dall'estero, ma animali allevati in speciali strutture per rendere possibile la vita di cavalli, capre, polli e vacche sotto il sole del deserto.

 

Ma che cosa mangiano questi animali, se le terre coltivabili sono quasi assenti? Soia dall'Argentina, cereali foraggeri dall'Est Europa, mais dal Brasile e dagli Stati Uniti. Ma anche erba medica italiana.

 

"Sono sessant'anni che la nostra famiglia produce e lavora erba medica per rifornire l'industria mangimistica e negli ultimi anni abbiamo visto crescere le esportazioni verso i Paesi del Golfo, che utilizzano i nostri alimenti per sostenere i loro allevamenti", racconta Davide Carli, tra i titolari del Gruppo Carli, un'azienda che, tra proprietà e affitto, ogni anno gestisce circa 15mila ettari, di cui oltre il 60% coltivato ad erba medica, ed il restante seminato a cereali per garantire la rotazione colturale.

 

Le balle prismatiche vengono slegate e lavorate presso gli impianti del Gruppo Carli

Le balle prismatiche vengono slegate e lavorate presso gli impianti del Gruppo Carli

(Fonte foto: Gruppo Carli)

 

"Negli Anni Sessanta hanno iniziato mio padre e i suoi fratelli con il commercio di letame e paglia, poi hanno acquistato i macchinari per essiccare e lavorare l'erba medica, un prodotto che di solito siamo abituati a vedere in rotoballe. Tuttavia l'erba medica è un alimento di alta qualità, che può essere trasformato anche in pellet per essere commercializzato sulle lunghe distanze. E oggi i nostri prodotti viaggiano per tutto il mondo, arrivando anche alle Seychelles".


Sui campi di erba medica gestiti direttamente o in conto terzi vengono eseguiti cinque o sei sfalci, a seconda dell'annata. Il foraggio viene fatto preessiccare in campo e successivamente raccolto grazie all'utilizzo dei carri autocaricanti o, quando non possibile, attraverso le rotopresse. Successivamente il materiale viene trasportato presso uno dei cinque centri di lavorazione sparsi tra Emilia Romagna e Lazio. Qui l'erba medica viene dapprima depurata dai residui, successivamente tritata ed essiccata, per poi essere trasformata in pellet (o in altre forme richieste dal mercato).

 

L'erba medica viene raccolta con carri autocaricanti che poi depositano la materia prima grezza presso i centri di lavorazione

L'erba medica viene raccolta con carri autocaricanti che poi depositano la materia prima grezza presso i centri di lavorazione

(Fonte foto: Gruppo Carli)


"Vendiamo sia all'industria mangimistica che direttamente alle aziende agricole e i nostri prodotti sono molto apprezzati perché di elevata qualità. Facciamo sempre molta attenzione ad eliminare tutti i corpi estranei, come ad esempio terra, sassi, ma anche pezzi di vetro o di alluminio che possono finire nell'erba, soprattutto nei campi che costeggiano le strade. Inoltre il nostro prodotto è biologico e questo piace soprattutto agli acquirenti del Nord Europa", sottolinea Carli.

 

Oltre ad avere una produzione di erba medica propria, il Gruppo Carli compra anche il prodotto da altri agricoltori della zona sotto forma di rotoballe o balle prismatiche, che vengono successivamente lavorate presso gli stabilimenti aziendali. "Il fatto di esportare circa il 50% della nostra produzione ci permette di lavorare come un polmone per il territorio", sottolinea Davide Carli. "Nelle annate buone, quando si produce molta erba medica, questa viene trasformata e prende la strada dell'export. Quando invece le condizioni ambientali sfavorevoli nel nostro Paese deprimono la produzione, allora cresce la quota di prodotto destinata al mercato interno".

 

L'erba medica viene disidratata prima di essere trasformata in pellet

L'erba medica viene disidratata prima di essere trasformata in pellet

(Fonte foto: Gruppo Carli)


La produzione di erba medica per l'esportazione è sicuramente un business insolito, ma interessante. C'è da chiedersi se la richiesta di prodotto da parte dei Paesi del Golfo, ma non solo, continuerà anche nei prossimi anni. Da un lato infatti molti Governi stanno acquistando terreni e aziende agricole in giro per il mondo. Un fenomeno, definito land grabbing, che vede investimenti soprattutto in Africa, in Sudamerica, ma anche negli Stati Uniti e nell'Est Europa.

 

Un esempio è il fondo di Abu Dhabi Al Dahra Group, che ha acquistato per 200 milioni di dollari Agricost, la più grande azienda agricola d'Europa, con una superficie di oltre 57mila ettari sull'isola di Braila, nel Danubio romeno. Posseduta dallo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, e parte dell'Al Ain Holding, Al Dahra gestisce migliaia di ettari tra Grecia, Egitto, Marocco, Namibia, Arabia Saudita, India, Pakistan e Serbia.

 

Il pellet di erba medica è un mangime che può essere stoccato con facilità e spedito ovunque nel mondo

Il pellet di erba medica è un mangime che può essere stoccato con facilità e spedito ovunque nel mondo

(Fonte foto: Gruppo Carli)

 

C'è da aspettarsi dunque che in futuro questi Stati si produrranno il cibo all'estero, per poi importare materie prime o prodotti finiti. L'altra incognita è tecnologica. I principali fondi sovrani stanno investendo nelle nuove tecnologie di fermentazione e cultured meat per trasformare la penisola arabica in una potenza alimentare, in grado di esportare carne, latte e derivati in giro per il mondo.


"È difficile fare previsioni sul futuro e non sappiamo quanta parte della nostra produzione continuerà ad essere assorbita dai Paesi del Golfo", sottolinea Carli. "Crediamo tuttavia che la nostra erba medica abbia le carte in regola per avere successo sul mercato. Già oggi i nostri prodotti hanno un costo superiore rispetto a quelli provenienti da altri Stati, eppure trovano il loro spazio. Questo perché offriamo alti standard di qualità, che vengono apprezzati da chi vuole fare produzione di un certo livello".