L'alimentazione influenza le nostre vite sotto molteplici aspetti, non solo il nostro benessere e la nostra salute, ma anche quella dell'intero pianeta, oltre all'economia mondiale. In occasione della Giornata mondiale dell'alimentazione indetta dalla Fao, che si celebra oggi, 16 ottobre, sono diversi gli appelli per rendere i nostri stili di vita più sostenibili, a partire proprio dal cibo, e cercare di riequilibrare un mondo che vede la contraddizione di una parte di popolazione in sovrappeso o obesa e lo spreco di enormi quantità di alimenti, mentre allo stesso tempo, da un'altra parte del pianeta, c'è chi muore di fame.
 

Cibo, chi troppo e chi niente

In Italia, ricorda la Coldiretti, ci sono 2,7 milioni di persone che nell'ultimo anno hanno mangiato nelle mense dei poveri o hanno chiesto di ricevere pacchi alimentari. Secondo i dati Istat, ad avere problemi per mangiare è più della metà dei 5 milioni di residenti che si trovano in una condizione di povertà assoluta. Tra le categorie più deboli degli indigenti si contano, riporta la Coldiretti, 455mila bambini di età inferiore ai 15 anni, quasi 200mila anziani sopra i 65 anni, circa 100mila senza fissa dimora, oltre a 380mila migranti che hanno lasciato spesso le proprie terre per la fame e ora si trovano ad affrontare la stessa emergenza in Italia. Per arginare queste situazioni molte sono le organizzazioni che distribuiscono alimenti, dalla Caritas italiana al Banco alimentare, dalla Croce rossa italiana alla Comunità di Sant'Egidio. Inoltre si contano 10.607 strutture periferiche (mense e centri di distribuzione), promosse da 197 enti caritativi, impegnate nel coordinamento degli enti territoriali ufficialmente riconosciute dall'Agea, che si occupa della distribuzione degli aiuti.

Ma se c'è chi non ha abbastanza cibo per sfamarsi, c'è anche chi ne ha troppo, tanto da buttarlo. Secondo la Fao, oltre un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo va perduto o sprecato. I costi globali degli sprechi contano circa 2,6 trilioni di dollari l'anno, compresi 700 miliardi di costi ambientali e 900 di costi sociali, si legge nella nota stampa diffusa da Last minute market, società spinoff accreditata dell'Università di Bologna.

Nel Belpaese oltre il 50% del cibo acquistato finisce nel bidone della spazzatura, nonostante sia ancora buono, e non si può nemmeno recuperare a fini caritativi a differenza dei prodotti invenduti o non consumati negli altri anelli della filiera alimentare (agricoltura, industria, distribuzione e ristorazione). Nell'indagine dei diari dello spreco, curata dall'Università di Bologna, emerge che ogni famiglia getta 84,9 kg di alimenti edibili per un costo di 250 euro, a livello nazionale sono quindi 2,2 milioni di tonnellate, pari a 8,5 miliardi di euro ovvero lo 0,6% del Pil.
 

Dieci azioni contro lo spreco

Cosa si può fare quindi per ridurre gli sprechi alimentari? Andrea Segrè, coordinatore di Last minute market, ha stilato un decalogo di azioni concrete realizzabili da tutti:
1. Acquistare solo ciò che ci serve, facendo una lista precisa senza cadere nelle sirene del marketing.
2. Prediligere alimenti locali e di stagione basati sulla dieta mediterranea.
3. Leggere e capire bene etichette e scadenze.
4. Usare frigo, freezer e dispensa per conservare gli alimenti e non per stiparli alla rinfusa.
5. Cucinare quanto basta, ma se avanza condividere con i vicini o riciclare il giorno dopo.
6. Far in modo che il bidone della spazzatura sia vuoto, differenziando tutti i rifiuti (anche quelli non alimentari).
7. Al ristorante chiedere di riportare a casa ciò che non viene mangiato.
8. Riconoscere che il cibo ha un valore non solo per il portafoglio ma anche per la  salute.
9. Chiedere che l'educazione alimentare e quella ambientale rientrino nelle  scuole come parte dell'educazione alla cittadinanza.
10. Mangiare è un atto di giustizia e di civismo: verso se stessi, verso gli altri, verso il mondo.

Anche Carlo Petrini, presidente di Slow Food, chiede il contributo di ognuno per cambiare la situazione attuale: "Serve l'impegno di tutti. Domani è troppo tardi. Con Food for Change possiamo cambiare anche di poco le nostre abitudini alimentari e riuscire davvero a fare la differenza. Da oggi, 16 ottobre, per una settimana, invitiamo tutti a fare la propria parte e a impegnarsi per eliminare la carne, ridurre gli sprechi e prediligere cibi locali. Questa la sfida che Slow Food lancia all'interno della campagna internazionale Food for Change, per sottolineare il legame tra cibo e cambiamento climatico".
 

Un'alimentazione più sana aiuta il pianeta e noi

Il numero uno di Slow Food sottolinea l'impatto della produzione di cibo sul pianeta. "Mai come adesso - avverte Petrini -, è urgente che tutti facciamo la nostra parte per arrestare un fenomeno che ci tocca da vicino tutti i giorni. Si stima infatti che, senza un'inversione di rotta, il pianeta si riscalderà di 1,5 gradi nel 2030 e di 4 nel 2100. Questo avrebbe conseguenze devastanti: un miliardo di persone rimarrebbe senza acqua, due miliardi soffrirebbero la fame e la produzione di mais, riso e grano crollerebbe del 2% ogni dieci anni".

"A livello globale la produzione di cibo è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra, mentre la produzione di mangimi occupa il 40% della produzione agricola mondiale - continua Petrini -. Da sempre sosteniamo e condividiamo quelli che sono i tre pilastri della Fao per il progetto #FameZero: contrastare lo spreco di cibo, che ogni anno raggiunge 1,3 miliardi di tonnellate nel mondo; favorire un approccio integrato in agricoltura, quella che noi chiamiamo agroecologia e che si basa sul rispetto della biodiversità e sull'interazione tra colture, allevamento e suolo. Terzo elemento, alla base delle attività di Slow Food, è seguire una dieta sana e sostenibile". Slow Food in collaborazione con Indaco2, spinoff dell'Università di Siena, ha analizzato l'impatto di una dieta attenta e amica del clima con una non sostenibile. "Il risultato? Il processo produttivo degli alimenti su cui si basa una dieta non sostenibile genera quasi il triplo dei gas serra rispetto a una sana e rispettosa dell'ambiente". Il consumo settimanale di prodotti non sostenibili comporta una produzione di gas serra pari a 37 kg CO2 eq, mentre con una sana siamo a 14 kg CO2 eq. "Un anno di buone abitudini ci farebbe quindi risparmiare CO2 pari alle emissioni di un'auto che percorre 3.300 km" ha concluso Petrini.

Ma non solo la salute del pianeta ne trarrebbe benefici, anche la nostra. Nel 2017 gli italiani hanno perso complessivamente, come popolazione, ben 4.011 anni di vita, per colpa di disabilità riconducibili a carenze nutrizionali, diabete e malattie cardiovascolari (nel 2016 erano 3.941 anni), secondo le anticipazioni della nuova edizione del Food Sustainability Index, Indice realizzato dalla Fondazione Barilla con The Economist Intelligence Unit.

Il motivo, secondo quanto riportato da Bcfn, è nel cambiamento di abitudini alimentari soprattutto dei giovani, che si sono distaccati dal modello della dieta mediterranea. I dati fotografano le conseguenze del fenomeno: in Italia il 36,8% di bambini e adolescenti tra 5 e 19 anni è sovrappeso, dato che tra gli adulti sale a oltre il 58% del totale. Sovrappeso e obesità, così come scelte alimentari sbagliate, contribuiscono al proliferare di alcune malattie (su tutte diabete, alcune forme di tumore, problematiche cardiovascolari) che mettono a rischio la qualità della vita fino a portare a mortalità precoce.
 

Educare i giovani per una maggiore consapevolezza

Secondo le anticipazioni della terza edizione del Food Sustainability Index (che sarà presentato il 28 e 29 novembre 2018 al Forum internazionale su alimentazione e nutrizione di Bcfn a Milano), l'Italia sta provando ad arginare questa transizione nutrizionale, con azioni concrete nelle mense scolastiche, come una maggiore attenzione alle porzioni, alla qualità delle materie prime utilizzate e seguendo standard nutrizionali. Anche l'accordo tra Fondazione Barilla Center for food & nutrition e ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca, Miur, intende creare più consapevolezza tra studenti e docenti sull'importanza delle nostre scelte alimentari.

"Il Protocollo, che è stato firmato il 4 giugno scorso, sostiene l'utilizzo delle tecnologie digitali per promuovere lo sviluppo delle competenze connesse alle tematiche della sostenibilità nell'alimentazione - spiega Simona Montesarchio, direttore generale per gli interventi in materia di edilizia scolastica, per la gestione dei fondi strutturali per l'istruzione e per l'innovazione digitale del Miur -. L'accordo prevede l'individuazione di cinque istituzioni scolastiche sul territorio nazionale quali poli di formazione sulle tematiche dell'alimentazione sostenibile. Per i docenti delle scuole di ogni ordine e grado saranno organizzati workshop formativi, sia attraverso webinar, che attraverso attività interattive di problem solving e attività di role playing in presenza. A disposizione degli insegnanti anche l'accesso gratuito a materiali e risorse digitali forniti da esperti internazionali e la realizzazione di specifiche giornate informative".

Anna Ruggerini, direttore operativo della Fondazione Bcfn ha spiegato: "Grazie all'intesa col Miur, abbiamo dato vita all'iniziativa di educazione digitale 'Noi, il cibo ed il nostro pianeta', che mira ad educare i nuovi cittadini globali tramite un percorso innovativo digitale incentrato sul ruolo del cibo e degli effetti che la sua produzione e consumo hanno su ambiente, salute, società fino al fenomeno migratorio".

Il programma multimediale, disponibile sul sito, è suddiviso in quattro moduli e parte da un assunto: è il cibo l'elemento che accomuna i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, Sdgs, stabiliti dalle Nazione Unite.