Agronotizie ne aveva già parlato nell'aprile 2012, quando un imprenditore dell'agro nocerino-sarnese era stato condannato dal Tribunale di Nocera Inferiore per aver commercializzato come italiano del concentrato di pomodoro importato in realtà dalla Cina.

All'epoca la tesi difensiva era basata sull'assunto che nel prodotto finale vi fosse una "lavorazione sostanziale" che lo rendeva di fatto differente in modo significativo dal triplo concentrato cinese usato come materia prima. Peccato che al tribunale non sia sembrato "sostanziale" diluire il prodotto cinese trasformandolo da triplo a doppio concentrato. In fondo, per quanto l'acqua del Nocerino possa essere buona e salubre, aggiungerne un po' a un prodotto cinese non rende quest'ultimo particolarmente italiano. Neanche la pastorizzazione con aggiunta di sale deve essere apparsa meritevole dell'appellativo "Made in Italy" e così l'imprenditore si vide appioppare una pena di quattro mesi di reclusione, con la condizionale, più seimila euro di multa.

Magari, avesse usato quel triplo concentrato per realizzare un sugo pronto con basilico, olive, capperi e melanzane le cose sarebbero andate diversamente. Già, perché in tal caso la lavorazione avrebbe potuto passare per "sostanziale" e quel sugo si sarebbe forse potuto spacciare per italiano, anche se poi, oltre al pomodoro cinese, il soffritto fosse stato fatto con cipolle spagnole e olio tunisino, le olive nere a pezzetti fossero state greche, i capperi turchi e le melanzane egiziane. Il basilico no: quello, per pudore, si poteva anche mettere italiano.
Del resto, quella goduria battezzata Nutella è uno dei simboli più famosi del made in Italy in tutto il globo terracqueo, sebbene olio di palma e cacao non siano certo produzioni tipiche dello Stivale.

Chissà perciò quanto una ricetta tradizionale e tipica di una Regione può scavalcare l'origine geografica dei singoli ingredienti che la compongono? In fondo, anche il grano che arriva dagli Usa viene molito e poi trasformato in pasta qui, in Italia. Magari con mole di pietra e trafilature al bronzo. Ciò lo rende riesportabile ancora in America sotto forma di spaghetti con somma soddisfazione di Mr. John Doe di New York, il quale mangia così una signora pastasciutta che di fatto pone però le sue radici in un grano statunitense come lui e, perché no, nel sugo melanzane, capperi e olive di cui sopra. Le lavorazioni cui sono state sottoposte le materie prime, in effetti, appaiono in entrambi i casi "sostanziali".

Ora la vexata quesito dei prodotti italiani-sì-ma-non-del-tutto è stata riproposta dalla trasmissione Le Iene, su Italia 1. Nel reportage si vedono barattoli di passata di pomodoro che girano come trottole fra Cina e Italia, con quantitativi importanti di merce che vanno su e giù fra i due Paesi, ma non solo. Perché secondo il reportage anche sugli scaffali della vendita al dettaglio vi sarebbero salse e passate di origine cinese ma spacciate per italiane.

Subito si è quindi levata la prevedibile ondata di polemiche nei confronti del servizio televisivo, al quale viene contrapposto il quadro normativo vigente, ovvero il D.M. 23 settembre 2005 e il D.M. del 17 febbraio 2006. Il primo sancisce che si possa definire “passata di pomodoro” solo un prodotto ottenuto direttamente da pomodoro fresco, sano e maturo. Il secondo stabilisce invece l'apposizione in etichetta della zona di produzione della materia prima e lo stabilimento di lavorazione del prodotto.

Giuste rimembranze, in effetti. Ma una considerazione, amara, merita comunque di esser fatta. Non tanto per difendere Le Iene, quanto per ricordare la realtà: sui banchi della vendita al dettaglio esistono anche prodotti finti bio nella sostanza, ma in regola sulla carta. Per lo meno finché un'indagine delle Autorità non tiri fuori la gabola. Per quale arcana ragione non dovrebbero perciò esistere su quei banchi pure delle salse e delle passate spacciate per italiane anche se fatte con pomodori cinesi? I furbastri (e disonesti) sono infatti numerosi e non c'è barba di Decreto che possa inibirne la fantasia. È illegalità, d'accordo. Ma ciò non toglie che la sicurezza di non mangiare cinese non deriva certo da un paio di decreti. Se così fosse, nessun automobilista violerebbe più il Codice della strada solo per il fatto che esso esiste. In Italia ciò sarebbe un sogno, in effetti. Ma ben sappiamo che così non è. Anzi.

In secondo luogo, siamo in un Paese che pare ormai essere avviato a divenire un luogo di trasformazione più che di produzione, con Leggi che sembrano fatte più che altro da industrie alimentari e Gdo e non dall'agricoltura. Ecco perché il concetto di "lavorazione sostanziale" è sempre lì, dietro l'angolo. E grazie ad esso si possono produrre salumi e formaggi non solo made in Italy, ma pure Igp o Dop.  
Non a caso, perfino sull'indicazione in etichetta dello stabilimento di produzione si è finito col dire che si può togliere perché ritenuta non indispensabile. Con buona pace di che crede che l'origine dei prodotti finiti e delle materie prime interessi davvero alla maggioranza dei consumatori. Quelli, per capirsi, che prendono la confezione col prezzo migliore oppure l'offerta del momento.

E questo, onestamente, appare un argomento molto più serio da trattare rispetto alle trasmissioni televisive a cavallo fra inchiesta e spettacolo.