Quando si parla di produzione integrata ci si confronta su tecniche la cui conoscenza aveva trovato motivo di giustificazione scientifica ben prima dell’affermazione della chimica in agricoltura. La necessità di contrastare determinati patogeni è un problema che l’uomo ha ben presente fin da quando ha cominciato a coltivare ed allevare e le conoscenze per selezionare ed allevare ausiliari ed insetti utili si erano sviluppate ben prima del secondo dopoguerra in cui si ricorse indiscriminatamente alla chimica, vista come una 'scorciatoia' per molti aspetti intelligente, ma purtroppo eccessiva ed apportatrice di 'effetti collaterali' derivanti da un uso eccessivo ed indiscriminato.

Da queste le premesse è partito convegno 'Agricoltura integrata. Dalla produzione alla comunicazione' che si è tenuto all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, organizzato da Ccpb - Controllo e certificazione e dal Dipartimento di Entomologia e patologia vegetale della Facoltà di Agraria.

Si è partiti dalla difesa, prima guidata e poi integrata, poi si è sviluppato un concetto olistico, dapprima più legato alla pianta piuttosto che all’azienda, per poi passare a considerare quest’ultima come elemento di base: quando si interviene su una pianta si va ad incidere sulla produttività e sulla qualità della coltura e dei suoi prodotti. I disciplinari di produzione integrata sono un’acquisizione recente: all’inizio c’erano dei protocolli di difesa ma il concetto di integrato ha preso piede associando all’uso 'ragionato' dei mezzi chimici il superamento della 'lotta a calendario', attuata con obiettivi specifici per ogni coltura e i possibili attacchi.

Il panorama mondiale delle esperienze che si rifanno al concetto di produzione integrata è molto vasto, un contesto che vede l’Italia tra i paesi che si sono dati disciplinari strutturati in modo appropriato, ciò che corrisponde alla necessità, anche agroclimatica, di darsi strumenti operativi molto affinati.

La produzione integrata è più legata alle coltivazioni frutticole (ortofrutta, vite, ulivo) ed orticole, piuttosto che alle coltivazioni estensive: per queste colture la conoscenza e le esperienze sono inferiori e non si sono sviluppate con la stessa intensità delle colture ortofrutticole per una inferiore percezione del 'problema agrofarmaci' da parte del consumatore.

Un’osservazione importante riguarda l’impianto legislativo che, mentre per il biologico non aveva avuto problemi ad approdare ad un intento comune a livello Ue e alla legge conseguente - il regolamento CEE 2092/91 - nel caso dell’integrato (al di là dei disciplinari come strumenti per l’applicazione e l’orientamento produttivo) non si è pervenuti ad una forma di legge a livello comunitario o nazionale che prevedesse le tecniche da adottare, l’attività di controllo, un albo dei produttori, indicazioni per la comunicazione e l’informazione dei consumatori, linee per la valorizzazione commerciale.

E tuttavia un ruolo fondamentale nell’ambito del rinnovamento dell’agricoltura a livello comunitario l’integrato l’ha avuto, basti pensare al regolamento CEE 2078 emanato nel 1992, al successivo 1257 del 1999 ed all’attuale 1698 del 2005. L’Ue ha emanato questi regolamenti con l'obiettivo di ridurre l’uso degli input esterni nel contesto di un’agricoltura attenta alle esigenze del mercato in un’ottica di rinnovato equilibrio con l’ambiente e le sue risorse. Diventa molto arduo redigere liste positive valide in ogni Paese, per ogni coltura e in ogni occasione. Forse sarebbe più ragionevole pensare ad una sorta di norma-quadro che stabilisca le caratteristiche del prodotto e definisca i limiti entro cui collocare le tecniche produttive lasciando ad ogni singolo paese e regione il compito di definire le tecniche. Sulla scorta di queste considerazioni, questa estate Uni ha pubblicato la revisione 2 della Norma 11233 che prende spunto dai criteri e principi fissati a livello internazionale dall’Oilb - Organizzazione internazionale di lotta biologica ed integrata per applicarli a livello nazionale e dall’esperienza maturata con i disciplinari regionali, non dimenticando il respiro europeo che la Norma dovrà avere, in quanto è intenzione dell’Uni proporla a livello di Comitato europeo di normalizzazione.

Si tratta di un primo passo per dare significato ad una esperienza produttiva nazionale e mediterranea e di proporla a livello internazionale quale standard di riferimento, definendo cosa può o non può essere definito come produzione integrata.

La produzione integrata oggi è nella sua età matura, il che implica l’adozione di un messaggio chiaro rivolto ai consumatori, condizione necessaria perché i prodotti possano vivere nel contesto di un’offerta sempre più competitiva nella quale il biologico gode di un’immagine più percepibile. Il consumatore che acquista un prodotto ortofrutticolo da produzione integrata – solitamente sotto l’ombrello del marchio privato della Gdo – non ne conosce le caratteristiche qualitative, non è in grado di capirne le tecniche adottate e la loro valenza, non ne conosce la validità dal punto di vista igienico-salutistico e della salvaguardia ambientale.

Non sono poi trascurabili le connessioni tra produzione integrata e biologico, il principio da cui partono entrambe le produzioni è simile: offrire un prodotto più salubre, più rispettoso dell’ambiente in virtù delle tecniche adottate e dei comportamenti dei produttori. Rispetto alla matrice comune, il biologico si differenzia perché non prevede in alcun modo l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi, mentre l’integrato, sia pure nelle forme opportune, lo prevede, e ciò comporta metodi produttivi molto diversi.
Un’altra differenza consiste nella garanzia derivante dall’attività di controllo e certificazione, delegata ad organismi che operano con accreditamento in base alla Norma UNI CEI EN 45011. Questa è stata l’evoluzione che ha portato di fatto Ccpb a definire uno schema di certificazione di produzione integrata sulla base di quanto previsto dall’Oilb. Detto schema ha ottenuto l’accreditamento Sincert nel marzo 2003. La Norma ha definito gli elementi che caratterizzano il metodo di produzione, lasciando all’operatore il compito di adattarla alle condizioni pedoclimatiche attraverso la definizione di uno specifico disciplinare di produzione. Oggi, con la pubblicazione della Norma UNI 11233, Ccpb modificherà il suo standard di riferimento della produzione integrata adottando la Norma UNI che sostituirà quella che ha rappresentato una specifica tecnica di processo.

La Gdo ha inserito la produzione integrata nell’ambito del filone ecologista e consumerista. Ma, di fatto, ha inglobato le caratteristiche del prodotto all’interno della marca privata, coniando spesso denominazioni – e le conseguenti azioni di comunicazione e informazione – che il consumatore non ha avuto modo di percepire con chiarezza. Soprattutto non è riuscito ad individuare che si tratta di un prodotto frutto di uno specifico metodo e non si è riusciti a trasmettere i contenuti di tale metodo, complice un termine, integrato, poco comunicabile. Il prodotto e il suo significato vengono nascosti al consumatore e al mercato, non vengono comunicati i valori positivi di cui l’integrato è portatore e ci perde il sistema produttivo nazionale che in questi ultimi 25 anni ha saputo crescere sotto questo aspetto, ma non riesce a valorizzare gli sforzi e spreca un’occasione di differenziazione sul mercato internazionale.

Il non comunicare – al mercato e al consumatore – il valore di un metodo produttivo può portare allo svilimento del metodo e ai vantaggi di filiera che si ottengono, che non vanno solo a beneficio del sistema produttivo ma di tutta la collettività. La situazione attuale vede dunque una mancata valorizzazione della produzione integrata, ciò che chiama in causa diverse responsabilità: la Distribuzione che ha preferito promuovere i propri marchi di insegna (anche se va detto che la Distribuzione con i propri marchi privati ha contribuito a mantenere in vita il concetto di integrato), ma anche il sistema produttivo, che non ha saputo comunicare in modo efficace le proprie posizioni. Alle responsabilità non si può sottrarre l’intero sistema produttivo, includendo la funzione pubblica, che fin dalla definizione dei disciplinari di produzione integrata non ne ha colto l’impatto in termini di innovazione di processo e di prodotto e di valorizzazione commerciale.
Oggi è possibile recuperare parte del tempo perduto dando univocità al sistema di produzione e riconoscibilità alla produzione integrata anche attraverso un’azione congiunta che sappia innestare la forza del consenso delle parti e del mercato, espresso con la pubblicazione della Norma UNI, con l’attività pubblica di Regioni e Mipaaf. La predisposizione dei disciplinari regionali e la valorizzazione delle produzioni così ottenute può giovarsi di un modello di riferimento comune, dato dai principi e dai criteri enunciati dalla Norma UNI, quale base omogenea per la realizzazione dei Disciplinari e le azioni in termini di riconoscibilità del prodotto.