Da una parte, dove sono più presenti gli insediamenti zootecnici, bisogna fare i conti con divieti di spandimento e limitazioni imposte dalla direttiva nitrati. Dall'altra, dove prevalgono attività colturali come vigneti od orticole, ma sono solo esempi, i terreni lamentano perdite di fertilità, tutti casi dove ammendanti e prodotti umificanti, come quelli che vengono dalle stalle, sono una benedizione. La risposta sarebbe semplice, portare reflui e letame là dove ce n'è più bisogno. Ma reflui e letame sono ricchi di acqua e trasportarli ha costi proibitivi (e vincoli sanitari e ambientali complicatissimi da rispettare). Da qui l'idea di trasformare in azienda le deiezioni animali in un fertilizzante di qualità, facilmente trasportabile, distribuibile con le comuni macchine, realizzabile a costi contenuti. Un'impresa tutt'altro che semplice, ma che non ha scoraggiato un gruppo di ricercatori piemontesi che prima con il sostegno della Regione, poi con l'aiuto del Mipaaf, hanno messo a punto un progetto (battezzato FiTraRef, prendendo in prestito le iniziali di Filiera Integrata del Refluo), per realizzare fertilizzanti in pellet a partire dai reflui zootecnici. E per raggiungere il risultato hanno coinvolto varie istituzioni scientifiche, come il Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), l'Imamoter (Istituto per le macchine agricole e movimento terra del Cnr), l'Università politecnica delle Marche.
Esperienze positive
I risultati ottenuti sono incoraggianti e sono stati illustrati in occasione di Eima. Si parte con la separazione della parte solida dei reflui, che viene poi sottoposta ad un processo di stabilizzazione aerobica che ha il compito di ridurre la quantità di acqua della massa grazie alle fermentazioni che avvengono nella stessa. Fermentazioni che ovviamente vanno tenute sotto controllo per evitare un eccessivo riscaldamento della massa. A questa fa seguito una fase di umificazione dove entrano in gioco i microrganismi che si occupano di “digerire” lignine e cellulosa. Processi che possono avvenire sia a ventilazione forzata (ma richiede impianti ad hoc) o attraverso il semplice rivoltamento delle massa secondo tempi e modi prestabiliti e dipendenti dalle caratteristiche della“materia prima”. Al termine di queste due fasi si passa alla pellettatura con estrusori non dissimili da quelli impiegati ad esempio nella preparazione dei mangimi. Due gli aspetti da tenere in considerazione, umidità del materiale da pellettare (ideale se non supera il 30%) e le caratteristiche fisiche del pellet che si ottiene. I migliori risultati si sono ottenuti con pellet di lunghezza pari o di poco superiore al diametro dello stesso pellet. Ciò facilita la distribuzione con un comune spandiconcime. Le prove di distribuzione hanno mostrato un'uniformità non dissimile da quella di analoghi prodotti del commercio, in particolare per i pellet ottenuti aggiungendo alla massa della segatura. Che però è costosa e può essere sostituita dai residui di potatura.
Occorre una filiera
Le risultanze tecniche del progetto sono positive, purché si realizzi una vera e propria filiera per la trasformazione dei reflui in fertilizzante organico pellettato, così come è stato fatto anche nella fase sperimentale, coinvolgendo un gruppo di aziende (tutte guidate da giovani) interessate da una parte a valorizzare i reflui in uscita e dall'altra ad utilizzare fertilizzanti con proprietà ammendanti. Risultati che ora possono essere trasferiti nelle realtà aziendali, fatti salvi alcuni elementi come la disponibilità di trincee dove accumulare le frazioni solide per la loro stabilizzazione, sino al trasferimento all'impianto di pellettatura. Situazioni che facilmente si possono trovare in molte aziende agricole. Investimenti di qualche rilievo sono necessari per l'impianto di pellettaura, anche se ora si trovano sul mercato attrezzature non particolarmente costose. Pur non avendo presentato indicazioni di costo (variabili in funzione delle diverse tipologie aziendali) il pellet potrebbe arrivare sul mercato a prezzi assai competitivi. Scenari ancora più interessanti si aprono al di fuori del contesto agricolo, ipotizzando l'impiego dei pellet in orticoltura hobbistica e nel giardinaggio. Ma questa è al momento solo una delle opportunità che i risultati del progetto hanno messo in evidenza. Il risultato più importante sta nell'aver trovato un punto di incontro fra i problemi delle aziende zootecniche e le esigenze delle colture specializzate.
14 novembre 2014 Zootecnia