I cambiamenti climatici non danno tregua, ma non è colpa dell'uomo. Siamo agli sgoccioli del fenomeno conosciuto come El Niño, verificatosi alla fine di aprile dello scorso anno e i cui effetti sono ancora in corso, in particolare nell'area americana (ma con strascichi anche in Europa e nell'oceano Pacifico), ma gli esperti dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite hanno affermato che ora c'è una probabilità del 70% che La Niña si verifichi tra agosto e novembre.

 

Si prevede, infatti, che l'effetto di riscaldamento dell'oceano Pacifico di El Niño, che ha contribuito a un picco delle temperature globali, passerà gradualmente alla fase di raffreddamento opposta, con l'arrivo del fenomeno opposto, conosciuto come La Niña. Lo scenario dovrebbe cambiare nelle prossime settimane, dalla fine dell'estate, affermano gli esperti meteorologici.

 

La Niña, in particolare, è un fenomeno che per i climatologi innesca il raffreddamento delle temperature della superficie oceanica in alcune parti dell'oceano Pacifico e delinea una serie di cambiamenti che sono associati ai venti, alla pressione e alle precipitazioni.

 

"Una rapida transizione da un estremo all'altro nel Pacifico tropicale - ha scritto qualche giorno fa il Financial Times - vedrebbe più parti del mondo colpite da eventi meteorologici, non molto tempo dopo che il forte evento di riscaldamento di El Niño ha devastato l'andamento delle precipitazioni e i prezzi delle materie prime".

 

Il susseguirsi dei due fenomeni di El Niño e La Niña, in ogni caso, non avrebbe effetti sul rallentamento del cambiamento climatico a lungo termine. Il "pendolo" che provoca oscillazioni fra eventi estremi opposti, dalla siccità alle temperature torride, dalle alluvioni alle bombe d'acqua, che influisce inevitabilmente sulle produzioni agricole in termini di quantità, qualità, salubrità delle stesse - innescando spesso anche correlati effetti speculativi sui mercati - secondo gli esperti dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite non comporterebbe alcuna modifica alla parabola prevista nei prossimi anni legata al progressivo aumento delle temperature. Il fenomeno noto come "riscaldamento globale" è stato oggetto di summit internazionali e di accordi sottoscritti nei vertici planetari, dal primo Global Earth Summit di Rio de Janeiro nel 1992 all'Accordo di Parigi del 2015 e via proseguendo, anche in queste occasioni oscillando fra allarmisti e negazionisti.

 

Secondo le previsioni, l'effetto ciclico de La Niña potrebbe con ogni probabilità verificarsi entro la fine dell'anno, intervenendo di fatto in coda a El Niño, che si sta lentamente estinguendo e ha perso la propria forza, dopo aver provocato inondazioni mortali in Brasile solo un mese fa.

 

Secondo l'Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite gli ultimi nove anni sono stati fra i più caldi mai registrati, e si prevede, ha riportato il Financial Times, "che le temperature terrestri continueranno a superare le medie storiche quest'anno dopo dodici mesi consecutivi di temperature record, mentre anche le temperature della superficie del mare al di fuori delle parti interessate dell'oceano Pacifico rimangono eccezionalmente alte".

 

E nel Mediterraneo? Il professor Luigi Mariani, docente di Agronomia e Coltivazioni Erbacee Sostenibili e di Tecnologie per le Produzioni Vegetali Sostenibili all'Università degli Studi di Brescia, dopo l'alluvione che ha inaspettatamente colpito Dubai alla metà di maggio ha postato su Climatemonitor alcune riflessioni per l'area del Mediterraneo e per l'Italia, area che sarebbe "per sua natura esposta a eventi pluviometrici estremi in quanto: presenta una imponente sorgente di masse d'aria caldo-umida (il mar Mediterraneo) ed è inoltre prossima a regioni sorgenti di masse d'aria fredda (Atlantico settentrionale, Polo Nord, Areale siberiano) e qui va ricordato che è dal contrasto fra masse d'aria calda e fredda che nascono le perturbazioni atmosferiche; è sede di una imponente orografia (Pirenei, Alpi, Appennini, Atlante, Alpi Dinariche, monti del Pindo, eccetera) che spinge le masse d'aria in arrivo a salire, intensificando così le piogge".

 

Per il professor Mariani, "a livello di protezione civile contro gli eventi pluviometrici estremi occorrerebbe orientarsi verso un atteggiamento analogo a quello che si sta faticosamente affermando per i terremoti e cioè che occorre essere preparati al peggio adottando politiche preventive adeguate, ad esempio a dighe e casse d'espansione per laminare le piene, a sistemazioni idraulico-agrarie e idraulico-forestali e ancora a interventi per evitare l'eccessiva impermeabilizzazione dei suoli".

 

Nessun allarmismo, però, si impadronisca della razionalità. I dati dell'Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (Irpi) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) che riportano una statistica nazionale sugli eventi idrogeologici estremi (frane e alluvioni) e che sono stati rilanciati dal professor Luigi Mariani evidenziano che dal 1915 al 2022 "non si colgono tendenze all'aumento della frequenza di tali eventi e della relativa mortalità, questo da un lato ci dice che il clima non è a tutt'oggi impazzito e dall'altro che in complesso è stato fatto un buon lavoro da parte delle autorità responsabili della protezione civile a livello nazionale e regionale".

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