Ogni tanto ritornano: uno magari crede che ormai un lavoro vecchio di 15 anni non possa fare più di tanti danni oggi. Ma in tal caso ci si sbaglia di grosso, perché sui social opera invece uno strano tipo di archeologi, sempre alla ricerca di prove a conferma dei propri convincimenti. E ovviamente le trovano, perché nulla riesce a sedurre di più di un'apparente prova di avere ragione.

Spesso trattasi delle pubblicazioni considerate "schiaccianti" circa gli impatti degli agrofarmaci sugli organismi acquatici. Nella fattispecie glifosate. Fatto salvo che in alcune situazioni, a seguito di irrorazione diretta, sono diversi gli organismi che possono patire di tali effetti, va comunque ricordata la differenza fra casi di tipo puntuale e sporadico e magari accidentale (uno specifico posto con una contaminazione shot) e casi legati all’ambiente acquatico in senso lato. Cioè quello esposto a periodiche contaminazioni dovute al runoff di tracce degli agrofarmaci usati in campo. In tal caso subentrano anche fenomeni di recovery spesso sufficienti a correggere gli eventuali effetti nocivi riscontrati. Fenomeni positivi che non possono quindi essere ignorati, dato che da essi dipendono gli equilibri di ambienti che vanno monitorati sul lungo periodo, non al momento del problema e basta.

Nella quasi totalità delle volte ci si trova infatti nella seconda tipologia dei casi summenzionati. Quindi gli studi di popolazione andrebbero svolti su periodi discretamente lunghi, monitorando frequentemente le concentrazioni reali delle sostanze indagate e cercando eventuali effetti, anche di lungo termine. Si dovrebbe cioè operare, come buon senso vuole, nelle condizioni che di solito si riscontrano in natura.

All’uopo ben si prestano le analisi delle varie Arpa regionali, riportate nei periodici report sulle acque di Ispra. Per comprendere se vi sono rischi per gli organismi acquatici si dovrebbe partire sempre da quei dati, ricordando che la quasi ossessiva ricerca del worst case (caso peggiore) non può restare l’unico pilastro portante di una ricerca scientifica. Va benissimo andare a vedere cosa può succedere alle concentrazioni massime riscontrate o riscontrabili in natura, e magari andare anche un po’ più in su per sicurezza, ma nello stesso studio non possono mancare comparazioni con le concentrazioni che rappresentano la quasi totalità degli scenari naturali. Non possono cioè essere omessi sistematicamente gli orizzonti più comuni.

Invece, l’ennesimo studio contro glifosate ha ripreso a rimbalzare recentemente in tema di rane. Rick A. R. Elyea, ricercatore del Department of Biological Sciences dell’Università di Pittsburgh, negli Usa, avrebbe scoperto effetti devastanti sui girini se somministrati di Roundup, diserbante a base di glifosate, appunto.

In alcuni bidoni, con o senza sedimenti, il ricercatore avrebbe posto i girini e poi aggiunto una formulazione al 25,2% di glifosate avente come coformulanti gli ormai famigerati POEA, ovvero le ammine di sego polietossilate. Questi coformulanti sono stati banditi da qualche anno dopo essere stati in pratica dismessi da tempo nei prodotti a marchio, permanendo poi solo in diversi generici fino alla revoca ufficiale europea dell’agosto 2016.


Prima osservazione

Che senso ha usare quale prova inconfutabile una ricerca del 2005 americana per attaccare, qui, in Europa, un prodotto che non è più quello oggetto dello studio citato? Se si aggiunge qualche goccia di limone alla glicerina si ottiene una buona crema idratante per le mani, se si aggiunge acido nitrico in ambiente reso acido con l’acido solforico si ottiene invece nitroglicerina, altamente esplosiva. A nessuno scoppieranno le mani con la miscela di glicerina più limone, a nessuno verrebbe in mente di idratarsi le mani sfregandole con la nitroglicerina. Analogamente, le ammine di sego erano responsabili della maggior parte degli effetti nocivi dei formulati passati. Ora non ci sono più. Sarà bene ci se ne cominci a fare una ragione.
 

Seconda osservazione

Tranne che nei casi di irrorazione diretta sulle acque, usi che in Europa non esistono se non in forma illegale o accidentale, ciò che si può riscontrare nell’ambiente reale è la sostanza attiva, non il formulato. Quindi ogni studio fatto con il formulato anziché con la sola sostanza attiva ha più o meno la stessa significatività dell’esempio di cui sopra con la glicerina. Gli standard analitici esistono, in purezza. Costano molto di più di un flacone di formulato commerciale, ma se si vuole lavorare seriamente si spendono anche soldi e tempo. Altrimenti si finisce col prendere scorciatoie ben poco scientifiche.
 

Terza osservazione

Le concentrazioni usate nel lavoro americano sono state di 3,8 milligrammi per litro di sostanza attiva e a tali concentrazioni gli effetti sono stati letali fra il 68 e l’86% dei girini posti nei diversi bidoni. Impossibile ovviamente sapere quanta di quella mortalità sia dovuta alle ammine di sego e quanta a glifosate. Conoscendo le due molecole, vi è da pensare che le prime abbiano fatto il grosso del "lavoro", mentre il secondo, lasciato da solo, avrebbe forse fatto flop nella strage di girini. Ma questo non lo si potrà mai sapere, come al solito, visto che una tesi con la sola sostanza attiva manca nella pubblicazione. Un'assenza che non può che condurre a un giudizio pessimo sull'operato dei ricercatori che sviluppino tali lavori.
 

Quarta osservazione

Dal report 2018 di Ispra si evince per l'anno 2016 un valore massimo di glifosate nelle acque superficiali pari a 26 µg/L, con un 95esimo percentile di 0,547 µg/L. Ovvero, anche al valore massimo si parla di concentrazioni 146 volte inferiori a quelle usate in America e quasi settemila volte inferiori alla concentrazione che abbraccia il 95% dei punti di campionamento analizzati. Anche in tal caso, mancano tesi svolte alle concentrazioni più comuni. Quelle alle quali, cioè, si potrebbe affermare con ottime prove in mano che una sostanza può essere davvero dannosa per degli organismi selvatici. In questo caso acquatici.
 

Conclusioni

In attesa che giungano studi svolti in condizioni reali, con le giuste concentrazioni della sola sostanza attiva, si può definire la recente resurrezione degli studi americani come l’ennesimo tentativo di usare dati irrealistici per dimostrare ciò che indimostrato ancora rimane. Forse perché indimostrabile se si tenessero i piedi per terra?
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