Un esempio in tal senso lo fornisce Le Monde, quotidiano francese da sempre molto caldo nell'attaccare i prodotti fitosanitari. Ultimo articolo sul tema quello pubblicato il 20 febbraio 2020 dal titolo "Les chiffres noirs des ventes de pesticides 'extrêmement dangereux". Tradotto, le cifre nere della vendita di pesticidi estremamente pericolosi.
Al di là della volontà di far passare per faraoniche delle cifre di fatto ridicole, cioè quelle del business degli agrofarmaci se paragonati ad altri di beni di ampio consumo, inclusi i fatturati di altre branche della chimica come il farmaceutico, è proprio il messaggio a essere come al solito fuorviante, non si sa se per mera ignoranza o se per deliberata scelta.
I numeri sono infatti armi molto duttili e flessibili per chi voglia piegarli a proprio piacimento. E così, se si vuole spaventare popolazione e decisori politici basta giocarci un po', stiracchiandoli fino a ottenere il risultato pianificato.
Il primo problema di tali informazioni farlocche è infatti che quei dati risalgono al 1985 e si basano su un'indagine svolta nel 1979(1). Quindi, la fotografia resa da Le Monde è decisamente un fotogramma alquanto vintage, in bianco e nero, quando ormai sono a disposizione filmati HD. Oppure, se si preferisce, è un po' come demonizzare i livelli di sicurezza delle automobili odierne pubblicando i risultati dei crash test delle automobili degli anni '70, quando non esistevano airbag, Abs, cruise control, né si usavano le cinture, né si poteva contare sulla molteplicità degli attuali accorgimenti messi a punto per salvare vite umane anche a fronte di impatti consistenti. Ognuno elabori quindi un proprio giudizio personale sull'etica comunicativa mostrata dal quotidiano transalpino.
In secondo luogo, quei decessi non sono affatto frutto di un censimento globale, come si sarebbe indotti a credere leggendo tali notizie, bensì derivano da una spericolata estrapolazione da uno studio condotto solo nello Sri Lanka, indagando su mille decessi avvenuti nel Paese asiatico a seguito dell'uso di antiparassitari.
Lo scopo di quell'indagine era di sensibilizzare gli agricoltori locali circa l'uso corretto di agrofarmaci, anche in considerazione dell'elevata tossicità acuta che tali prodotti mostravano generalmente all'epoca. Carbammati, esteri fosforici e clorurati come carbaryl, parathion ed endosulfan andavano infatti per la maggiore non solo in Oriente, ma anche in Europa, venendo applicati spesso con pompe a spalla tutt'altro che "a norma" e operando senza alcun dispositivo di protezione individuale. Qui le cose sono nel tempo cambiate. In Oriente e in altre parti del mondo, molto meno.
Su web, volendo cercare, si trovano infatti ancora oggi immagini in cui gli agricoltori dei Paesi emergenti irrorano le proprie colture vestiti normalmente, magari spruzzandosi vicendevolmente fra operatori disposti su facciate opposte della medesima fila. Scene di ordinaria dabbenaggine che per fortuna non trovano riscontro nelle realtà più evolute dei Paesi occidentali. Vuoi per i macchinari impiegati, vuoi per i dispositivi di protezione individuale adottati, vuoi infine per la profonda differenza che intercorre fra prodotti antichi e moderni. Questi ultimi alquanto meno tossici di quelli utilizzati quarant'anni fa.
Non a caso, prendendo statistiche americane, raccolte fra il 2006 e il 2010, sarebbero solo cinque gli agricoltori deceduti a seguito di intossicazione da agrofarmaci. Passando all'Italia, secondo il Rapporto Istisan 18/6, relativo al 2014, vi sarebbe stato un solo morto per intossicazione accidentale da prodotto fitosanitario, ovvero il verderame. Un altro, purtroppo, sarebbe un bambino di otto anni, il quale avrebbe bevuto del parathion da una bottiglia mal conservata in tutti i sensi. Questo insetticida è stato infatti revocato in Europa quasi vent'anni fa. Vi è cioè da chiedersi come abbia potuto il piccolo avervi accesso. Altri tre casi, infine, odorano più che altro di suicidio, vista l'assunzione direttamente dai flaconi.
Appurato quindi che i dati sono vecchissimi e che restituiscono un'immagine deformata del problema (calcolare i morti globali da un numero così ridotto di casi di un singolo Paese è procedura decisamente non ortodossa), resta un'ultima questione: di quei mille casi di intossicazioni mortali, solo 250 circa erano dovute a contaminazioni accidentali a carico di agricoltori o astanti. Gli altri 750 non vengono ben collocati dall'autore dello studio. Forse perché trattasi quasi del tutto di suicidi o di omicidi. Pratiche molto diffuse in alcuni Paesi utilizzando agrofarmaci, proprio perché molto tossici e quindi dall'effetto pressoché sicuro.
Va da sé che non si chiede l'abolizione delle metropolitane o delle ferrovie per il fatto che qualcuno decide di porre fine alla propria esistenza sui loro binari. Né si chiede lo sbarramento delle finestre per via di chi si suicida scaraventandosi di sotto. E gli esempi potrebbero essere infiniti.
Gettare fango sulla fitoiatria moderna, riproponendo come attuali degli studi vecchi di 40 anni, fatti estrapolando per giunta i dati su scala mondiale senza depurarli nemmeno del fattore volontarietà, appare quindi il solito modus operandi tanto caro alla stampa allarmista. Quella che cioè si mantiene con titoli sensazionalisti e criminalizzazioni a tema dell'agricoltura.
1) J. Jeyaratnam (1985): "Health problems of pesticide usage in the Third World". Editorial. British Journal of Indutrial Medicine. 1985; 42: 505-506.
Perché la tossicologia, in fondo, è più semplice da comprendere di quanto sembri.