"Tecnologie e conoscenze che ci consentono di coltivare nell'ambiente più ostile conosciuto, lo Spazio, ci consentiranno di coltivare in ambienti estremi, qui, sulla Terra". Così Stefania De Pascale, professoressa al Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, che negli ultimi venticinque anni ha dedicato le sue ricerche alla coltivazione di piante in sistemi di controllo ambientale biorigenerativo per supportare la vita degli astronauti nello Spazio ed è convinta che le ricerche che sta portando avanti non serviranno solo per l'esplorazione spaziale.
Stefania De Pascale era ospite qualche settimana fa, a Torino, a un evento che anticipa la prossima edizione del Festival divulgativo Coltivato 2025, all'interno della Biennale Tecnologia del Politecnico di Torino. A dialogare con lei sul tema agricoltura spaziale c'era Maria Lodovica Gullino, fitopatologa e responsabile scientifica di Coltivato.
"Le tecnologie messe a punto in vista di future lunghe permanenze nello Spazio su basi lunari e marziane ci insegnano a risparmiare acqua e fertilizzanti - ci ha raccontato Maria Lodovica Gullino - a coltivare in spazi ridotti e a coltivare in cicli chiusi. Queste ricerche sono utilissime anche per le coltivazioni, qui, sulla Terra".
D'altra parte, aveva spiegato poco prima Stefania De Pascale, gli studi in ambienti indoor, con luce artificiale, sono iniziati proprio in vista della possibilità, in futuro, di coltivare nello Spazio, per lunghe permanenze. "Vertical farming, illuminazione led, sono approcci nati pensando all'agricoltura spaziale. L'agricoltura spaziale - ha detto la professoressa - riporta l'attenzione su una cosa importante: nello Spazio non ci sono taverne, tutto quello che abbiamo quando siamo nello Spazio dobbiamo portarlo con noi. Rigenerazione e circolarità sono la chiave, concetti molto preziosi anche qui, sulla Terra".
Coltivazioni indoor nel futuro?
La ricerca sull'agricoltura spaziale
Cosa si deve intendere però per agricoltura spaziale e a che punto sono le ricerche? Una missione su Marte, è stato spiegato durante l'evento, durerebbe circa cinquecento giorni. Sarebbe impossibile assicurare rifornimenti dalla Terra e servirebbero tonnellate di cibo per ogni membro dell'equipaggio. Non si tratta però solo di cibo. "Ci siamo interrogati - ha spiegato ancora Stefania De Pascale - su come rigenerare risorse in modo efficiente. Le piante sono alla base della vita sulla Terra e le piante sono in grado di rigenerare l'aria, tramite la fotosintesi, purificare l'acqua, attraverso la traspirazione e ovviamente producono cibo. Possono utilizzare gli scarti dell'equipaggio come nutrienti".
Le piante però, nello Spazio, devono affrontare condizioni di vita molto diverse da quelle che ci sono sulla Terra, quelle più sfidanti sono la gravità ridotta e la presenza di radiazioni cosmiche che, sulla Terra, sono schermate dell'atmosfera. L'Università degli Studi di Napoli Federico II collabora da anni con il programma dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), "Melissa", ovvero Micro Ecological Life Support System Alternative, che punta a realizzare un sistema ecologico controllato di supporto alla vita basato su microrganismi e piante per la rigenerazione delle risorse in missioni spaziali di lungo termine.
"La ricerca si muove a piccoli passi - ha detto ancora Stefania De Pascale - prima di arrivare su Marte stiamo lavorando alla realizzazione di sistemi in grado di produrre ortaggi freschi a bordo di piattaforme orbitanti, si tratta quindi di integrazioni alimentari per l'equipaggio. Oggi sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) si coltiva in piccole camere di crescita. Si coltivano piante da foglia, a ciclo di crescita breve. Con l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) però stiamo lavorando sui microgreen, piantine che crescono in tempi rapidissimi, si producono dai semi di ortive, di aromatiche e in due, tre settimane sono pronte per essere mangiate. Sono fresche e sono ricche di componenti nutraceutici".
Nel 2022 proprio l'Università degli Studi di Napoli Federico II assieme all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e all'Enea collaborò sempre con l'Asi per il lancio di un microsatellite (GreenCube) che misurava 30 x 10 x 10 centimetri a 6mila chilometri dalla Terra. Il cuore di GreenCube era una camera pressurizzata destinata alla coltivazione dei micro ortaggi. Una serie di sensori monitorava costantemente i parametri ambientali e da remoto si potevano regolare i principali fattori ambientali: luce, temperatura e distribuzione della soluzione nutritiva per ottimizzare la crescita delle piante.
Agricoltura spaziale, focus sulla ricerca
Ci sono ancora parecchi pezzi del puzzle che devono andare al loro posto prima che si possa pensare di coltivare su Marte o sulla Luna, in modo che gli equipaggi possano trovare sul posto le risorse che servono alla loro permanenza. "Se pensiamo a colonie spaziali - ha spiegato ancora Stefania De Pascale - è evidente che non potremo vivere di insalate. Si guarda quindi a colture di base come cereali, leguminose, piante da frutto. Sono sfide d'adattamento non banali però. Sono tutte colture che sulla Terra sono coltivate a pieno campo. Fra le colture su cui stiamo lavorando (Progetto Esa Pfpu) ci sono anche i tuberi, patata e patata dolce, da coltivare in microgravità, a bordo dell'Iss".
Poi la professoressa ha concluso dicendo: "Ci sono tutta una serie di ricerche di frontiera da portar avanti. La regolite lunare e marziana (strato polveroso esclusivamente minerale che ricopre la Luna e Marte, privo quindi di sostanza organica) potrebbe fungere da substrato di coltivazione. La regolite va quindi modificata nelle sue caratteristiche. Noi non lavoriamo sulla regolite ma su simulanti di regolite, ottenuti grazie alle ricerche della Nasa, negli anni. Le nostre ricerche ci consentiranno di imparare a coltivare nel deserto o di recuperare terreni degradati. Io dico sempre che la ricerca sulle piante per lo Spazio guadagnerà spazio alle piante sulla Terra".
Stefania De Pascale, professoressa al Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, e Maria Lodovica Gullino, fitopatologa e responsabile scientifica di Coltivato
(Fonte foto: Barbara Righini - AgroNotizie®)