Al 19° Congresso Nazionale dell'Ordine dei dottori Agronomi e dei dottori Forestali "Radici nel Futuro" si è parlato anche di agricoltura spaziale, un argomento che può sembrare un po' "fuori terra", ma che in realtà non lo è affatto: la ricerca per coltivare in stazioni orbitanti porta ricadute interessanti sull'agricoltura terrestre.
Ne abbiamo ha parlato con Stefania De Pascale, docente di Orticoltura e Frutticoltura al Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, che da anni sta sperimentando e costruendo con le sue ricerche una figura nuova: quella dell'astroagronomo.
L'intervista è stata raccolta nella giornata conclusiva del 19° Congresso dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali, tenutosi in Campidoglio a Roma dal 5 al 7 novembre 2025, proprio mentre si discuteva del tema dell'innovazione in relazione alle figure professionali dell'agronomo e del forestale.
Perché il tema dell'agricoltura spaziale è stato inserito tra quelli dell'innovazione nel quadro del Congresso nazionale degli agronomi e dei forestali?
"L'agricoltura spaziale nasce dall'esigenza di sostenere la vita umana in ambienti estremi e confinati, come stazioni orbitanti, basi lunari o future missioni marziane. Questo congresso è stato intitolato 'Radici nel Futuro' e oggi riflettiamo proprio sul futuro della professione di agronomo, tra gestione dei dati e intelligenza artificiale. In questo contesto, l'astroagronomo - al di là della provocazione del termine - rappresenta il simbolo più visionario: un professionista che applica i principi della scienza agronomica ad ambienti extraterrestri, dove le condizioni di vita e di coltivazione sono completamente diverse da quelle terrestri, con l'obiettivo di supportare la vita dell'uomo".
"L'astroagronomo non lavora con gli attrezzi agricoli convenzionali, ma con sensori, flussi di dati, luci Led e camere di crescita controllate. Deve conoscere la fisiologia vegetale, ma anche la gestione dei cicli della materia e la programmazione dei sistemi automatici. Eppure, dietro l'apparente distanza, il cuore della professione resta lo stesso. Studiare come coltivare lattuga in orbita o patate su Marte significa, in fondo, imparare a gestire la scarsità delle risorse e a controllare l'ambiente attraverso tecnologie avanzate - esattamente ciò che siamo chiamati a fare oggi sulla Terra. Cambia il linguaggio, cambiano gli strumenti, ma la missione resta la stessa: supportare la vita dell'uomo facendo convivere produttività e sostenibilità".
Quindi l'astroagronomia potrebbe avere la sua utilità nei prossimi anni, e sicuramente l'avrà sempre di più in contesti che stanno diventando ostili: in che modo l'agricoltura spaziale potrà concretamente contribuire alla sostenibilità alimentare nelle aree più inospitali del nostro pianeta?
"Da buona napoletana, parafrasando un noto proverbio marinaresco, dico sempre che nello Spazio non ci sono taverne (il motto originale recita: 'Dicette Pulecenella: pe' mmare e pe' ccielo nun ce stanne taverne'. Traduzione dal napoletano: 'Disse Pulcinella: per mare e per cielo non ci sono taverne', Ndr). Proprio perché nello spazio non c'è nulla di cui approvvigionarsi, le risorse negli habitat extraterrestri dovranno essere ridotte al minimo e utilizzate al meglio".
"L'agricoltura spaziale permette di sviluppare sistemi di coltivazione estremamente efficienti e sostenibili, nati per affrontare la scarsità assoluta di risorse. La sfida di coltivare in un ambiente tanto ostile porta, infatti, alla creazione di soluzioni agricole ad altissima efficienza, fondate su riciclo, precisione e controllo totale dell'ambiente".
"Ma ciò che è necessario e imprescindibile nello spazio è oggi anche un obiettivo dell'agricoltura terrestre. Le conoscenze e le tecnologie sviluppate per coltivare piante in condizioni estreme - e cosa c'è di più estremo dello Spazio? - hanno ricadute dirette sulla Terra: permettono di produrre cibo in ambienti difficili, ridurre il consumo di risorse naturali e guadagnare nuovi spazi per le piante".
"Il mio motto è: 'piante nello Spazio, più spazio alle piante sulla Terra', nel senso che le conoscenze acquisite e le tecnologie sviluppate ci permetteranno di conquistare nuovi spazi per le coltivazioni, imparando a produrre cibo in aree desertiche, zone degradate, regioni artiche e, più in generale, in tutti quei contesti che oggi consideriamo marginali o inospitali".
Più in dettaglio, a cosa sta lavorando la sua Unità di Ricerca?
"Nei progetti di ricerca spaziale a cui lavoriamo - come quelli sviluppati nell'ambito del programma Melissa, Micro-Ecological Life Support System Alternative, dell'Agenzia Spaziale Europea - si studiano sistemi biorigenerativi capaci di riciclare acqua, aria e nutrienti per sostenere la vita dell'uomo nello Spazio. Questi sistemi riproducono, in scala ridotta e controllata, le interazioni fondamentali tra i diversi organismi e l'ambiente che rendono possibile la vita sulla Terra".
Il nostro lavoro in questo ambito è duplice. Da un lato studiamo procedure e tecnologie per integrare al meglio le piante in questi sistemi, affinché diventino una componente attiva della rigenerazione delle risorse - producendo ossigeno, depurando acqua e aria, riciclando nutrienti e garantendo cibo per l'equipaggio. Dall'altro lavoriamo sulla selezione e sul miglioramento delle specie vegetali, sviluppando varietà più efficienti e resilienti, capaci di adattarsi a condizioni estreme come gravità ridotta, radiazioni o disponibilità limitata di acqua e nutrienti".
"In questo quadro progettiamo e testiamo sistemi di coltivazione a ciclo chiuso basati su idroponica, aeroponica, controllo ambientale e illuminazione Led; studiamo la fisiologia delle piante in condizioni estreme; ricicliamo e valorizziamo reflui organici trasformandoli in nutrienti; sviluppiamo protocolli per il recupero e la purificazione dell'acqua; e collaboriamo con altri specialisti per integrare componenti vegetali, microbiche e fisico-chimiche in un unico ecosistema stabile. Parallelamente, sperimentiamo varietà con maggiore efficienza d'uso delle risorse".
Si tratta di ecosistemi a ciclo chiuso, possibile?
"Si tratta di ecosistemi chiusi e circolari, progettati per rigenerare risorse vitali come aria e acqua e per produrre cibo nelle future basi lunari e marziane. Schematicamente, all'interno di questi sistemi: le piante producono ossigeno e alimenti, depurano l'aria e l'acqua e fungono da interfaccia biologica tra gli altri comparti; i microrganismi degradano i rifiuti organici e metabolizzano i reflui umani, restituendo nutrienti minerali riutilizzabili dalle piante; gli esseri umani forniscono anidride carbonica e scarti metabolici, contribuendo a chiudere il ciclo della materia e dell'energia. Le piante diventano così parte di un ecosistema artificiale che produce ossigeno e cibo e contribuisce alla purificazione dell'acqua".
"Per esempio, l'acqua traspirata dalle piante, che si libera sotto forma di vapore, può essere condensata e riutilizzata come acqua potabile. L'urina umana, opportunamente pretrattata e metabolizzata dai microrganismi, può essere utilizzata per la nutrizione delle piante grazie al suo contenuto di nutrienti essenziali (NPK). Parallelamente, la selezione delle specie e il miglioramento genetico delle varietà consentono di ottenere piante più resilienti e adattabili ad ambienti estremi che potranno rivelarsi preziose anche in un'ottica di cambiamento climatico sulla Terra".
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L'innovazione varietale andrà di pari passo con lo sviluppo di queste tecnologie nate per l'agricoltura spaziale?
"L'innovazione varietale dovrà procedere molto rapidamente nei prossimi anni. In alcuni progetti condotti con l'Agenzia Spaziale Italiana, per esempio, stiamo utilizzando le Tea, Tecniche di Evoluzione Assistita, per accelerare il processo di miglioramento genetico del riso: si tratta di metodi di precisione che permettono di introdurre variazioni mirate senza trasferire materiale genetico esterno, rendendo possibile la selezione di varietà più resilienti, efficienti e adattabili a condizioni estreme".
"Parallelamente, assisteremo a un ritorno tecnologico significativo: sensoristica miniaturizzata per il monitoraggio e il controllo delle coltivazioni, sistemi di automazione basati su intelligenza artificiale e robotica avanzata per la gestione degli impianti".
"In altre parole, innovazione genetica e innovazione tecnologica saranno due facce della stessa medaglia: la prima permetterà alle piante di esprimere appieno il loro potenziale, la seconda renderà possibile coltivarle in modo più preciso, sostenibile e autonomo, nello Spazio come sulla Terra".






























