Queste ultime convulse settimane, attraversate da trattori rombanti su è giù per le piazze d'Europa, ci hanno un attimo distratto. Distratti da una notizia importante, sebbene grande appena 28 metri quadri. Tanti quanta la grandezza del campo sperimentale (campo per modo di dire, orto semmai) necessario per fare iniziare la prima sperimentazione open air sulle Ngt (Nuove Tecniche Genomiche) in Italia.

 

È successo che un gruppo di ricerca dell'Università di Milano ha presentato la richiesta di autorizzazione per un riso che si vuole resistente al brusone (Pyricularia oriyzae). L'Ispra (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale) avrà tempo fino alla fine del mese per decidere. Forza Ispra che ce la potete fare.

L'autorizzazione temporanea è stata introdotta in Europa fino alla fine del 2024 in attesa della revisione del quadro normativo Ue sulle Ngt.

 

Un paio di settimane fa il Comitato Ambiente Ue ha dato parere positivo - ma la decisione finale riguardo gli Ngt sarà sicuramente sofferta e al voto in Parlamento si arriverà con mille mal di pancia: mal di pancia ideologici, ovviamente. Piccola parentesi tecnica (ci proviamo): se i prodotti finali di un processo di creazione Ngt fossero privi di qualsiasi traccia di Dna estraneo alla specie si dovrebbe parlare di Tea (Tecniche di Evoluzione Assistita), prodotti radicalmente diversi dai vecchi prodotti Ogm o transgenici e che non devono con essi essere assolutamente confusi.

Leggi anche "Tea, via libera dal Parlamento Ue"

Veniamo alla ragione di qualche mal di pancia: per creare una Tea i genetisti hanno temporaneamente bisogno di introdurre la famosa nucleasi Cas9 e i suoi Rna guida (l'agricolo chiede scusa ai genetisti se non è ben preciso). Questo materiale estraneo deve poi venire eliminato totalmente dalle sequenze genetiche delle piante licenziate dai laboratori. La pianta che si andrebbe a diffondere sarebbe quindi priva di qualsiasi materiale genetico estraneo alla propria specie.

A noi queste Tea (e ribadiamo Tea, come sopra descritte) piacciono anche perché non vediamo altra strada per limitare l'uso di sostanze chimiche in agricoltura e per combattere i tanti fenomeni avversi alle culture salvaguardando l'ambiente e i redditi dei coltivatori. Veniamo da anni in cui la pressione parassitaria si è fatta compulsiva; fra nuovi e vecchi parassiti c'è da perdere la testa oltre che tutto il raccolto.

 

L'anno scorso ho visto in vigneti bio decine di trattamenti rameici per combattere una peronospora che poi ha avuto drammaticamente la meglio. Una seria ricerca scientifica ci potrà allora aiutare. Se è poi pubblica, come quella dei pionieri milanesi, ancor meglio.