“L’export di pomodoro made in Italy nel 2015 si è attestato sui 101008 tonnellate – sottolinea Diego Begalli dell’Università di Verona – il 31% dell’export va in Germania, mentre l’11% in Regno Unito. Abbiamo però voluto analizzare anche Norvegia e Russia, che a nostro avviso potrebbero avere grandi potenzialità in futuro. In Russia c’è ancora il problema dell’embargo, ma in un’ottica futura di revisione delle sanzioni, questo mercato può essere molto interessante”.
Riccardo Scarpa, del dipartimento di Economia Aziendale dell’ateneo veronese, ha spiegato maggiormente nei dettagli l’analisi condotta sugli acquisti e consumi di pomodoro nei quattro mercati presi in esame. “Abbiamo studiato le abitudini tramite tanti fattori, dalle principali caratteristiche come varietà, colore, buccia e polpa, a quelle legate alla sostenibilità e al prezzo. Dalla ricerca si evince come il biologico sia sempre più apprezzato e i consumatori siano disposti a pagare di più se vengono rispettate qualità e sostenibilità. Detto questo, in termini di maggiore remunerazione, solo in Germania c’è un riscontro reale. In questi quattro mercati l’Italia è presente, ma con quote di mercato molto inferiori rispetto al prodotto olandese e spagnolo”.
“Le opportunità per accrescere il nostro export in questi mercati ci sono tutte – ha ribadito Scarpa – Dobbiamo però fare maggiore marketing sul nostro prodotto e aprire nuovi canali di vendita. C’è voglia di prodotto italiano, ma spesso non arriva”.
Stefano Pezzo, presidente di Fruitimprese Veneto, ha invece spiegato la necessità del mondo delle imprese ortofrutticole a uniformare e rendere più chiaro il sistema di certificazioni. “Manca un’armonizzazione sulle certificazioni, le richieste del mercato ci dicono di perseguire la strada della sostenibilità. Per questo stiamo lavorando sul fronte degli standard qualitativi, sulle fonti di energia sostenibile, sulla valorizzazione della produzione integrata e sulla difesa dell’ambiente”.
Roberto Simonetto, direttore vendite di Carrefour Market, ha portato l’esperienza di Carrefour nella valorizzazione del biologico nel reparto fresco. “Nelle principali città italiane abbiamo inaugurato uno specifico cluster definito “Gourmet” – ha spiegato – dove l’ortofrutta è assolutamente di primaria importanza. Chi viene qui è sicuramente un cliente esigente, con una referenza di gamma medio-alta. Tutto ciò è stato possibile anche a un aumento delle competenze dei nostri collaboratori, che sanno raccontare ai clienti tutte le caratteristiche del prodotto. Siamo giunti ormai a un quarto di tutto il fatturato dell’ortofrutta, per questo aver spostato l’attenzione dal ‘quanto costa’ al ‘quanto vale’ è risultata essere una strategia vincente”.
Tornando sul tema delle certificazioni, ha poi trattato il tema Luigino Disegna di Csqa Certificazioni, fra i più importanti enti del settore a livello italiano. “E’ necessario passare a un sistema di certificazioni della produzione all’interno delle filiere, che sia in grado di coniugare contemporaneamente i requisiti legata alla sostenibilità ambientale, economica e sociale”.
“Fra le tendenze in crescita nell’ortofrutta ci sono il biologico e la nutraceutica – ha infine sottolineato Maria Teresa Russo, docente di Chimica degli alimenti all’Università di Reggio Calabria – tutto questo si traduce nella ricerca di prodotti con caratteristiche nutrizionali, che esprimono specificità come la presenza di antiossidanti, vitamine e probiotici. Questi sono tutti aspetti per i quali i consumatori sono disposti anche a riconoscere un prezzo superiore”.