Quasi 21 miliardi di euro per latte e derivati, con una crescita annua vicina al 4%, e 15 miliardi per le carni rosse, con un aumento di circa l'1% ed inferiore, dunque, all’inflazione.
Cifre complessivamente sostanziose, quelle riguardanti il giro d'affari al consumo degli alimenti d'origine bovina. Ma del valore aggiunto faticosamente conquistato dalle due filiere, agli allevatori non restano che le briciole: è quanto emerge dal Rapporto latte e carne 2008 presentato ieri a Legnaro (PD), nella sede di Veneto Agricoltura, e realizzato dall’Osservatorio sul mercato dei prodotti lattiero-caseari su incarico dell’Associazione Italiana Allevatori.
'Nel corso del 2007', ha spiegato Daniele Rama, direttore dell’Osservatorio, 'i prezzi all’origine di latte e carne sono sì aumentati, ma non quanto i costi produttivi. E questo ha ulteriormente eroso la redditività delle nostre stalle'.
I numeri, in effetti, parlano chiaro: nel 2007 produrre un quintale di latte costava l’8% in più rispetto all’anno precedente, mentre i ricavi si sono fermati a un +6,5%.
Ancora più grave la situazione negli allevamenti da ingrasso di bovini da carne, dove è soltanto per effetto dei premi Pac che le aziende agricole sono rimaste a galla.
'E dalla primavera di quest’anno', ha successivamente rincarato Renato Pieri, docente di economia agroalimentare all’Università Cattolica di Piacenza e tra i principali artefici del Rapporto, 'i prezzi alla produzione sono scesi, ma non quelli al consumo. La domanda risulta quindi in flessione, soprattutto per quanto riguarda alimenti di alta qualità come formaggi Dop e carni Igp, e questo non manca di ripercuotersi negativamente sulle fasi più a monte della filiera'.
La situazione è quindi critica: profitti e redditi netti degli allevatori sono in picchiata e la passività si colloca su livelli ormai spaventosi: secondo i dati resi noti a Legnaro, in una provincia a fortissima vocazione zootecnica come quella di Brescia, l’indebitamento medio ammonta a 9.000 euro a ettaro.
Bovini e allevamenti sono inoltre sempre più concentrati in poche aree vocate della Penisola (è il caso della Lombardia con in testa le province di Brescia, Mantova e Cremona) e tale elemento, oltre a mettere a rischio il sistema delle produzioni locali, genera ulteriori timori alla luce dell’ormai cogente applicazione della direttiva nitrati.
'I dati oggi presentati dimostrano chiaramente la fondatezza delle nostre preoccupazioni', ha sottolineato al termine dei lavori Nino Andena, presidente dell’Associazione Italiana Allevatori, 'tanto più che il settore lattiero deve ancora fare i conti con le decisioni prese recentemente a Bruxelles, in occasione dell’Health check'.
L’aumento di quota pari all’1% concesso a Paesi forti produttori e già eccedentari, potrebbe convogliare sull’Italia forti quantità di prodotto, deprimendo il prezzo alla stalla. Senza dimenticare un altro aspetto non meno importante, vale a dire la redistribuzione delle quote supplementari assegnate da Bruxelles agli allevatori italiani, il cui effetto, non essendo stati ancora resi noti i criteri di assegnazione, è ancora difficile da valutare.Per ulteriori dettagli: www.aia.it/newswww.osservatoriolatte.it.


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