I batteri azotofissatori sono batteri presenti nel suolo in grado di prelevare l'azoto dell'atmosfera N2 e convertirlo in azoto ammoniacale, necessario per la sopravvivenza della pianta. Questo processo è detto azotofissazione o anche fissazione biologica dell'azoto (Bnf, Biological Nitrogen Fixation) ed arricchisce la rizosfera di azoto, nelle forme biodisponibili di ammoniaca NH3 o ione ammonio NH4+.
Nel suolo vivono molti tipi di organismi che però non sono in grado di svolgere l'azotofissazione, come ad esempio gli Archea o gli Eucarioti. Solo i batteri azotofissatori ne sono in grado e senza di loro la vita sulla terra sarebbe limitata, soprattutto per le piante.
Occorre tenere presente che, dopo il carbonio, l'azoto è l'elemento nutritivo maggiormente richiesto dalle piante. Per questo motivo, in agricoltura si effettuano fertilizzazioni azotate per aumentare la resa delle colture. Dall'altra parte, un'eccessiva quantità di azoto può compromettere l'efficienza dei trattamenti fertilizzanti.
Si tratta, inoltre, di un elemento che, se presente in quantità eccessive, può creare problemi all'ambiente: può causare ad esempio l'eutrofizzazione dei corpi idrici quando viene trasportato in altri comparti ambientali.
Infatti, rispetto all'azoto distribuito in campo solitamente le colture sono in grado di assorbirne solo il 40-50%: una bassa efficienza che può causare la dispersione della parte restante per lisciviazione.
Il rischio ecologico è reale ed è quindi importante conoscere l'attività dei microrganismi del suolo in grado biologicamente di intercettare e trasformare l'azoto.
Ma cosa sono i batteri azotofissatori?
I batteri azotofissatori sono batteri diazotrofi, cioè in grado di fissare l'azoto atmosferico.
Si trovano nel suolo e alcuni anche nelle acque. Appartengono a diversi phyla, come Proteobacteria e Actinobacteria, e la maggior parte (se non tutti) di questi phyla sono noti per impegnarsi in simbiosi azoto-fissatrici con le piante.
Questi microrganismi possono essere classificati in tre gruppi:
- azotofissatori liberi: sia aerobi che anaerobi. Gli azotofissatori liberi presenti in natura fissano soltanto piccole quantità di azoto, circa 1 o 2 chili di azoto all'anno. Fanno parte dei generi Azotobacter spp. (aerobio eterotrofo), Clostridium spp. (anaerobio), Anabaena spp., Gleocapsa spp. e Rhodospirillum spp. Molti di questi sono batteri promotori della crescita delle piante (Pgpr, Plant Growth Promotion Rhizobia);
- azotofissatori associati non nodulanti: appartengono ai generi Azospirillum, Gluconacetobacter, Herbaspirillum e Burkholderia. A questo gruppo appartengono azotofissatori con l'attitudine di associarsi alle radici di graminacee, anche se la loro associazione è comune nei climi tropicali. Si ottengono circa 34 chili di azoto all'anno dalla loro associazione;
- azotofissatori simbionti: formano noduli radicali nelle leguminose. A questo gruppo di simbionti si attribuisce il 40% dell'azoto fissato biologicamente sulla Terra. Appartengono al genere Rhizobium. I tassi di azotofissazione nelle leguminose sono intorno ai 100 chili di azoto all'anno.
L'azotofissazione è un processo che avviene in più passaggi mediati da tipologie diverse di batteri.
Pertanto, conoscere il microbiota del proprio suolo significa comprendere meglio le necessità o le difficoltà che la coltura dovrà affrontare e poter intervenire nel modo più appropriato.
I batteri azotofissatori mediano vari processi che coinvolgono l'azoto presente nel suolo nelle sue diverse forme: ione ammonio, ammoniaca, nitrito e nitrato. In base al loro metabolismo intervengono in diverse tipologie di trasformazioni dell'azoto.
Tra le altre conversioni possibili di questo elemento, ne possiamo individuare due particolarmente interessanti dal punto di vista agronomico:
- nitrificazione;
- denitrificazione.
I batteri della nitrificazione, come quelli appartenenti ai generi Nitrosomonas e Nitrobacter ossidano l'ammonio dell'ambiente a nitrito o a nitrato; questi ultimi composti possono sì essere riutilizzati dalle piante, ma con un dispendio energetico maggiore da parte delle piante stesse per renderli biodisponibili. Quindi conoscere la presenza o l'assenza di questi batteri è importante al momento di valutare la tipologia di concimazione e la possibile competizione che potrebbe nascere per le risorse nutritive tra colture e microbiota nativo del suolo.
Leggi anche: Che cos'è il microbiota e perché è importante in agricoltura
Infatti, l'azoto nelle forme ammoniacali può essere sequestrato dai batteri nitrificanti per svolgere la loro attività metabolica, sottraendolo così alla pianta che, invece, preferirebbe assorbire ammonio perché lo può utilizzare direttamente.
Se la pianta assorbisse nitrato o nitrito allora dovrebbe spendere energia per ridurre l'azoto di quei composti allo stato di ammonio prima di poterlo assimilare.
Quindi a parità di condizioni, è preferibile trovare nel suolo altri generi di batteri rispetto ai nitrificanti, che non utilizzino lo ione ammonio come fonte primaria del loro metabolismo, di fatto sottraendolo alla coltura.
Un'altra presenza da monitorare è quella dei batteri denitrificanti, genere Hyphomicrobium, che convertono i composti dell'azoto in azoto atmosferico N2, rendendolo del tutto indisponibile per la maggior parte degli altri organismi e limitando quindi la crescita delle piante.
Quindi, perché sono così importanti i batteri azotofissatori?
Il suolo scarseggia di composti azotati e per questo l'azoto è un fattore limitante per la crescita delle piante. È possibile incrementare la concentrazione di questo elemento nella rizosfera tramite la biofertilizzazione, ovvero adottando pratiche agronomiche che prevedono l'uso di bioinoculanti a base di microrganismi benefici per le colture.
I bioinoculanti sono composti da microrganismi, viventi o dormienti, che possono svolgere varie funzioni: non solo quella di azotofissazione ma anche di promuovere la crescita e lo sviluppo delle piante. Questi batteri sono chiamati Pgr.
Inoltre, rendere le colture azoto autosufficienti significa anche contribuire alla lotta all'inquinamento ambientale in quanto la produzione di fertilizzanti azotati impiega energia fossile non rinnovabile ed è responsabile per il rilascio di gas serra.
Come tutti gli interventi agronomici occorre prendere le dovute precauzioni per evitare danni o dispersioni ambientali, intervenendo in maniera consapevole e mirata.
Ecco alcuni consigli pratici per evitare la volatilizzazione e il dilavamento dell'azoto dal suolo:
- ridurre la fertilizzazione azotata grazie al biofertilizzante;
- distribuire sostanza organica per permettere al batterio inoculato di proliferare;
- applicazione liquida del biofertilizzante a base di microrganismi, attraverso semi rivestiti prima della semina, trattamenti multipli per via fogliare o concimando il suolo.
Biofertilizzazione: non solo vantaggi
Se da una parte quindi i benefici sono diversi, ci sono però anche degli svantaggi derivanti dell'applicazione di bioinoculanti. Infatti, nonostante le prove di efficacia di questi formulati risultino positive dai test effettuati in serra o laboratorio, spesso sono meno efficaci in campo.
Questo succede principalmente perché i microrganismi introdotti nell'ambiente, e quindi di fatto alloctoni, devono competere per un posto nell'ecosistema (conquista della nicchia ecologica) con i microrganismi autocotoni per proliferare sufficientemente.
Inoltre, la capacità di sopravvivere e prosperare dei microrganismi introdotti con l'inoculo varia in base a condizioni ambientali come temperatura, precipitazioni e tipo di terreno, come pure alle interazioni con la pianta ospite ed altri organismi.
Di fatto, più il microbiota del suolo nativo è ricco di biodiversità, più sarà difficile la sopravvivenza dei bioinoculanti applicati.
Come funzionano le associazioni tra batteri azotofissatori e piante?
La maggior parte dei batteri responsabili della fissazione dell'azoto si trova in associazione simbiotiche con un ospite fotosintetico.
I partner di questa simbiosi traggono vantaggio reciproco: la pianta ospite fornisce energia al microrganismo che la utilizza per fissare notevoli quantità di azoto poi disponibile per la pianta stessa.
Ad esempio, l'erba medica è una leguminosa perenne gestita intensamente che può fissare diverse centinaia di chili di azoto per ettaro all'anno.
L'interazione tra l'ospite vegetale e il batterio simbionte è condizionata dal fattore chiave della prossimità tra i due. In base al grado di intimità e interdipendenza dei due partner si possono avere 3 diverse tipologie di associazione:
- associazioni sciolte con batteri azotofissatori viventi liberi;
- associazioni endofitiche intercellulari;
- endosimbiosi.
Vediamo in dettaglio queste tre forme di associazione.
La forma più semplice di simbiosi azotofissatrice è quella instaurata dai batteri del sottoinsieme Rizobatteri che promuovono la crescita delle piante (Pgpr). I fissatori di azoto Pgpr sono stati identificati tra i Bacilli e soprattutto tra i Proteobatteri ma appartengono anche al genere Azospirillum, e sono in grado di migliorare l'idoneità all'associazione di diverse colture, tra cui grano, mais e riso.
Nella seconda forma, cioè le associazioni endofitiche intercellulari, molte specie di batteri si moltiplicano all'interno dei tessuti vegetali senza causare danni o reazioni di difesa significative. Questi batteri, come Azoarcus, Herbaspirillum e Gluconacetobacter, sono classificati come endofiti a causa della loro stretta associazione con i tessuti vegetali. Le associazioni endofite batteriche sono pressoché onnipresenti e, infatti, sono state isolate dal tessuto sterilizzato in superficie da quasi tutte le piante esaminate fino ad oggi.
La loro associazione può essere obbligata o facoltativa e presentano interazioni complesse con i loro ospiti che vanno dal mutualismo al parassitismo. Ad esempio, il genere Nostoc è endofita con due generi di epatiche (Blasia e Cavicularia) e tutte le antocerote.
Infine, la forma più elaborata di associazione azotofissatrice tra pianta e batteri è l'endosimbiosi. Gli endosimbionti batterici si posizionano all'interno delle cellule vegetali. Le endosimbiosi vegetali più studiate sono quelle tra piante actinorrize e batteri del genere Frankia e tra legumi e Rhizobium.
Figura 1. Rappresentazione schematica delle diverse associazioni tra diazotrofi e ospiti vegetali. I diazotrofi sono divisi in due gruppi principali: batteri nodulanti e rizobatteri che promuovono la crescita delle piante (Pgpr). I batteri nodulanti includono rhizobia e Frankia. I rizobi entrano in un'associazione simbiotica con legumi e Frankia con piante attinorize. Alphaproteobacteria può anche nodulare grazie a specie come Parasponia. Alcune piante sviluppano interazioni endosimbiotiche con cianobatteri azotofissatori (Nostoc). I Pgpr includono Proteobatteri (alfa-, beta-, e gamma-proteobacteria), actinobacteria, bacilli e cianobatteri. Molti Pgpr sviluppano le associazioni associative o endofite con i cereali. Alcuni cianobatteri trovati all'interno dei tessuti vegetali sono classificati come endofiti.
(Fonte: "Symbiotic Nitrogen Fixation and the Challenges to Its Extension to Nonlegumes" di Florence Mus, Matthew B. Crook, Kevin Garcia, Amaya Garcia Costas, Barney A. Geddes, Evangelia D. Kouri, Ponraj Paramasivan, Min-Hyung Ryu, Giles E. D. Oldroyd, Philip S. Poole, Michael K. Udvardi, Christopher A. Voigt, Jean-Michel Ané e John W. Petersa)
Figura 2. Meccanismi e principali batteri Pgpr utilizzati
(Fonte: "Environmental Biotechnology: For Sustainable Future" di Ranbir Chander Sobti, Naveen Kumar Arora e Richa Kothari, Cap. 6 "Plant Growth-Promoting Rhizobacteria: Diversity and Applications", pag. 135)
Biotecnologie per l'agricoltura: batteri azotofissatori, bioinoculi e biofertilizzanti
I batteri diazotrofi, cioè azotofissatori, e le simbiosi tra questi batteri e le colture rappresentano una strategia sostenibile per ridurre la domanda di fertilizzanti chimici azotati in agricoltura, oltre ad incrementare le rese.
Infatti, i progressi nella comprensione della fissazione endosimbiotica, associativa e endofitica dell'azoto con le leguminose e con piante non leguminose possono aprire nuove strade per l'ingegneria colturale nella realizzazione di cultivar non leguminose in grado di fissare l'azoto atmosferico.
L'uso di Rhizobium inoculato nei semi di legumi è forse la più antica applicazione agrobiotecnologica (Lindström et al., 2010).
I batteri appartenenti al genere Rhizobium hanno come punto di forza la persistenza nel terreno nel tempo (Howieson, 1995). Diversi studi hanno dimostrato che i ceppi inoculati predominano ancora nei noduli 5-15 anni dopo l'inoculazione iniziale (Lindström et al., 1990), confermando che sono saprofiti efficaci persistenti nel suolo per molti anni anche in assenza del loro ospite (Sanginga et al., 1994). Questo garantisce un prolungamento dell'effetto positivo sulla fertilità del suolo. Inoltre, i ceppi rizobiali sono preferibili per la loro capacità di tollerare, persistere e nodulare sotto stress ambientali.
Ci sono però dei requisiti da tenere in considerazione perché l'inoculo sia efficace prima di piantare una specie di legumi in regioni in cui:
- non è stata coltivata in precedenza;
- la flora nativa della regione non conteneva legumi che erano parenti stretti della coltura;
- esiste un intervallo di diversi anni tra l'uso di un legume nella rotazione, anche se le nuove varietà di legumi potrebbero non formare un'associazione simbiotica altamente efficace con i ceppi rizobiali nativi che erano efficaci su quelle più vecchie.
Focus su Azotobacter
Come abbiamo già detto, l'azoto è un elemento limitante nel suolo, dove si trova solitamente a basse concentrazioni, per la crescita delle colture. Il contenuto di questo elemento nel suolo può essere incrementato attraverso la concimazione azotata chimica, anche se questo nel lungo periodo può portare ad un'inefficienza del trattamento, con la volatilizzazione dell'ammoniaca e l'accumulo di nitrati nel suolo.
Nell'ottica di un'agricoltura più sostenibile, si può sostituire la fertilizzazione chimica con i biofertilizzanti a base di microrganismi.
In particolare, in questo capitolo, ci concentreremo sui biofertilizzanti a base di Azotobacter spp., un genere di batteri capace di stimolare positivamente la crescita delle piante (Pgpr) e incrementare le rese, attraverso meccanismi di influenza sia diretta che indiretta sulle piante.
Infatti, questi batteri hanno la capacità di fissare grandi quantità di azoto atmosferico in modo non simbiotico, cioè fissano l'azoto atmosferico a proprio beneficio, per utilizzarlo nella costruzione di composti propri. Dopo la loro morte e decomposizione, questo azoto viene trasferito al suolo disponibile per essere utilizzato da piante e altri organismi.
Azotobacter spp. sono batteri azotofissatori liberi, cioè capaci di fissare l'azoto atmosferico senza legarsi ad un ospite vegetale simbionte. Fanno parte di queto genere diverse specie, tra cui A. chroococcum, A. vinelandii, A. agilis, A. armeniacus, A. beijerincki, A. nigrican, A. paspali, A. salinestris, A. tropicalis e il più importante e diffuso di queste specie, A. Chroococcum.
L'occorrenza di Azotobacter è varia: infatti, la sua presenza è stata riscontrata nella rizosfera di diverse colture come riso (Oryza sativa L.), mais (Zea mays L.), canna da zucchero (Saccharum officinarum L.), miglio perlato (Pennisetum glaucum L.), ortaggi e colture di piantagione (Mazid & Khan, 2015).
Questo microrganismo predilige per una crescita ottimale una temperatura di 30 gradi centigradi, anche se può propagarsi a 25-40 gradi centigradi; preferisce suoli debolmente acidi, neutri o debolmente alcalini con un'acidità compresa tra 4.8-8.5 (Singh, 2011).
L'attività azotofissatrice di questi batteri genera un beneficio diretto alla coltura, fornendo a quest'ultima appunto azoto biodisponibile, ma non solo. Produce anche fitormoni - acido acetico (Aia), citochinina (Ck) e gibberellina (Ga) - grazie ai quali stimola la produzione di radici e la crescita della pianta, realizzando la sua funzione di batterio promotore della crescita delle piante.
Oltre a queste due attività, interviene in maniera indiretta nello sviluppo e difesa della pianta in due modi:
- secernendo esopolisaccaridi (Eps) - zuccheri e acidi organici - in grado di facilitare l'aggregazione delle particelle di terreno e migliorarne quindi la struttura, facilitando alle piante l'assorbimento dei nutrienti;
- come bioprotettore delle piante; infatti, in presenza di questo microrganismo, è stata osservata una diminuzione delle malattie da deperimento precoce nei fagioli lunghi (Hindersah et al., 2018). In dettaglio, è stata rilevata un'efficace attività antifungina di Azotobacter contro Aspergillus flavus, Cercospora spp. e Fusarium oxysporum (Ponmurugan, Sankaranarayanan, & Al-Dharbi, 2012).
In sintesi, Azotobacter è un ottimo biofertilizzante, biostimolante e bioprotettore.
Il suo inoculo si rivela molto importante a supporto della nutrizione delle piante in aree remote, dove il rifornimento di prodotti chimici è costoso e limitato.
Gli studi effettuati confermano la relazione positiva tra inoculo di Azotobacter e aumento della resa. Tuttavia, il vero meccanismo o l'attività esatta attraverso cui l'Azotobacter influenza il raccolto, la crescita e la produzione sono ancora da scoprire completamente. Quindi, non si sa se l'incremento della resa sia causato dalla fissazione dell'azoto o dalla produzione di fitormoni.
Nonostante questa incertezza, gli effetti dell'Azotobacter sulle colture sono abbastanza convincenti per il suo impiego nella produzione vegetale.
Figura 3. Risposta delle colture all'applicazione di biofertilizzanti a base di Azotobacter
(Fonte: "Role and perspective of Azotobacter in crops production" di Reginawanti Hindersah, Nadia Nuraniya Kamaluddin, Suman Samanta, Saon Banerjee, Sarita Sarkar)
Figura 4. Prove in campo: l'impatto di Azotobacter su alcune importanti colture commerciali
(Fonte: "Role and perspective of Azotobacter in crops production" di Reginawanti Hindersah, Nadia Nuraniya Kamaluddin, Suman Samanta, Saon Banerjee, Sarita Sarkar)
In realtà, oltre al genere Azotobacter, ci sono diversi generi di batteri promotori della crescita commercializzati come biofertilizzanti. Appartengono ai generi Azosprillum, Bacillus, Burkholderia, Enterobacter, Klebsiella, Pseudomonas, e Serratia.
Riportiamo in tabella le specie di rizobatteri studiate e commercializzate come singolo ceppo o biofertilizzante misto.
Figura 5. Principali specie di Rizobatteri commercializzati come singoli ceppi o mix biofertilizzante
(Fonte: "Role and perspective of Azotobacter in crops production" di Reginawanti Hindersah, Nadia Nuraniya Kamaluddin, Suman Samanta, Saon Banerjee, Sarita Sarkar)
Focus su Azotobacter chronococcum
La particolarità di questa specie riguarda la sua capacità di associarsi positivamente con altri tipi di batteri Pgpr e potenziare la crescita e lo sviluppo di molte cultivar commerciali.
Ad esempio, A. chroococcum, Rhizobium leguminosarum bv. phaseoli e Bacillus megaterium possono trovarsi come miscela microbica: da alcuni studi effettuati su due cultivar di fagiolo si conferma l'effetto significativo di questa combinazione batterica sulla crescita delle piante, la formazione di noduli, la quantità di azoto fissato, il peso fresco e secco della pianta, il numero di rami e baccelli, e il contenuto di clorofilla nelle foglie.
Un'altra particolarità di A. chroococcum, emersa da altri studi, è l'interazione positiva tra il batterio e il fungo Trichoderma harzianum nell'incrementare la produzione di colture in campo. Inoltre, il batterio A. chroococcum ha un importante ruolo sinergico con i funghi micorrizici arbuscolari, influenzando positivamente la crescita e lo sviluppo delle piante.
Invece, a proposito della capacità di Azotobacter spp. come bioprotettore nel contenimento delle malattie, menzionata nel paragrafo precedente, ne riportiamo di seguito degli esempi in relazione ad alcune colture.
Patata
A. chroococcum è stato inoculato in vasi piantati con tuberi di patata e ha fornito protezione di gambi e steli dal fungo patogeno Rhizoctonia solani, impedendo in particolare la formazione di sclerozi del fungo sui tuberi in condizioni di serra; inoltre, l'aggiunta del batterio ha incrementato la produzione in modo significativo rispetto al trattamento di controllo.
Infatti, i batteri del genere Azotobacter sono stati utilizzati nella resistenza biologica di alcuni funghi quali Rhizoctonia, Sclerotinia, Pythium e Fusarium, abbattendo l'incidenza della malattia da smorzamento anche del 56%.
Pistacchio
A. chroococcum è efficiente anche nell'antagonismo ai funghi Aspergillus flavus, A. terrus, Alternaria e F. oxysporum grazie alla produzione di metaboliti antifungini.
Soia
Il batterio riduce la morte dei semi provocata dal fungo Macrophomina phaseolina.
Pomodoro
Le piante di pomodoro sono infettate da diversi agenti patogeni fungini come Fusarium solani, che causano diverse malattie come appassimento e marciume radicale e, infine, ridotta resa delle colture.
A. chroococcum produce antibiotici inibitori che fermano la crescita dei funghi, rallentando e riducendo la crescita del micelio.
Focus su Azospirillum
I batteri appartenenti al genere Azospirillum sono altri batteri azotofissatori e promotori di crescita delle piane e, comunemente, non funzionano da biocontrollo, in quanto non proteggono le piante dai patogeni.
Tuttavia, A. brasilense ha manifestato, in alcuni casi, una moderata capacità di biocontrollo di Agrobacterium tumefaciens, un batterio patogeno del suolo responsabile della formazione della galla del colletto, della peronospora batterica del gelso e delle malattie batteriche del pomodoro e/o vascolari (Sudhakar et al., 2000; Bashan and de-Bashan, 2002).
Inoltre, l'associazione delle piante con Azospirillum attiva cambiamenti biochimici nelle radici, con il risultato di promuovere la crescita della pianta e la sua tolleranza in condizioni di scarsa umidità del terreno; di fatto, il batterio riesce a stimolare la crescita delle piante anche in condizioni di stress idrico.
Per saperne di più: i principali generi di batteri azotofissatori nel suolo
Vista la loro importanza in ambito agronomico, approfondiamo gli aspetti microbiologici dei batteri azotofissatori del suolo.
Questi batteri sono batteri Gram negativi che includono ceppi con vari stili di vita, dalle associazioni simbiotiche ai batteri promotori della crescita vegetale (Pgpb), come anche patogeni vegetali e animali.
Ad esempio, nel genere Rhizobium si riscontra la presenza di quattro specie patogene: R. radiobacter, R. vitis, R. rhizogenes e R. rubi. In particolare, R. radiobacter ed R. rhizogenes causano una crescita incontrollata delle radici, radici pelose e galla del colletto.
Rientrano in diversi generi e specie, sia all'interno delle sottoclassi degli alpha- che dei beta- proteobatteri (phylum): sono suddivisi in circa 13 generi e più di 90 specie, anche se questi sono numeri in aumento vista appunto la loro frequenza nei substrati agricoli.
La maggior parte appartiene ai generi Azorhizobium, Bradyrhizobium, Mesorhizobium, Rhizobium e Ensifer (precedentemente chiamato Sinorhizobium), oltre a Burkholderia e Cupriavidus.
Focus: l'associazione endosimbiontica tra leguminose e Rhizobium
Si tratta dell'associazione simbiotica più frequente in agricoltura, quella tra la pianta ospite, solitamente una leguminosa, e batteri appartenenti al genere Rhizobium.
Bisogna tenere presente che la maggior parte dei legumi sono promiscui, possono cioè essere nodulati da diversi rizobi e in particolare da un'ampia gamma di ceppi di Rhizobium. Ma ci sono anche ospiti vegetali più restrittivi che sono meno comuni e sono piante appartenenti ai generi Cicer, Vicia e Trifolium (Broughton e Perret, 1999).
Ma come avviene la simbiosi?
L'associazione è altamente specifica: ogni ceppo Rhizobium ha una gamma ospiti definibile, che può essere o molto stretta o notevolmente ampia.
Innanzitutto, occorre sapere qual è l'effetto finale di questa simbiosi: la formazione di noduli radicali in cui avviene lo scambio di fonti energetiche che la pianta fornisce al batterio che a sua volta impiega per fissare l'azoto e renderlo disponibile all'adsorbimento radicale.
La simbiosi ha inizio con un dialogo molecolare tra i due partner. La pianta leguminosa secerne nella rizosfera un cocktail di molecole fenoliche, prevalentemente flavonoidi e isoflavonoidi. Questi segnali quando vengono intercettati dai batteri rizobi attivano una serie di geni batterici di nodulazione.
Questi geni di nodulazione sono responsabili della produzione di lipochitooligosaccaridi (LCOs) chiamati fattori nod. I fattori nodali sono segnali simbiotici chiave e sono indispensabili nell'interazione specifica ospite-rizobio e nelle fasi successive del processo di infezione e dell'organogenesi nodulare.
Il batterio entra a questo punto nelle cellule corticali della radice per endocitosi, in cui si differenzia morfologicamente in batterioidi, all'interno di un organello chiamato simbiosoma, dove avviene l'azoto fissazione. La simbiosi è delimitata da una membrana di derivazione vegetale che controlla lo scambio di nutrienti tra i simbionti.
Dal momento che l'endosimbiosi è una forma di associazione invasiva, in cui quindi i due partner modificano parti delle loro strutture per unirsi, è necessario che questo processo sia controllato da meccanismi che escludano un'infezione non vantaggiosa o dannosa.
Pertanto, le piante hanno sviluppato diversi meccanismi per esercitare un controllo aggiuntivo sul simbionte procariote una volta stabilita la simbiosi.
Se da una parte i fattori nodali servono anche come segnale importante per sopprimere l'immunità delle piante e consentire l'invasione del rizobio partner, dall'altra, una volta che la simbiosi e la formazione del nodulo sono avvenute con successo, la pianta leguminosa è in grado di limitare la proliferazione di batteri "impostori" che esprimono compatibilità per l'associazione con l'ospite, ma non per un'efficace fissazione dell'azoto. Questo processo è fondamentale per garantire l'equilibrio alla cooperazione in queste associazioni mutualistiche.
Dagli studi realizzati, è emerso che i legumi sono in grado di monitorare le prestazioni simbiotiche e "sanzionare" i noduli che non sono efficaci nella Bnf. La sanzione può essere effettuata limitando la fornitura di zuccheri a noduli inefficaci, in modo tale che la pianta dedichi risorse solo a noduli che forniscono una quantità significativa di azoto in cambio del carbonio che ricevono come fonte nutritiva.
Questo meccanismo di riconoscimento e controllo determina la senescenza prematura dei noduli che ospitano simbionti di bassa qualità.
Figura 6. Dettaglio dell'infezione endosimbiotica e arricciamento del pelo radicale per la formazione del nodulo
(Fonte: "Soil microbiology, ecology and biochemistry", cap. 14, pag. 458, fig. 15.6)
Le associazioni più studiate tra leguminose e batteri simbionti sono riassunte nella seguente tabella.
Figura 7. Tabella delle principali specie di batteri nodulanti delle leguminose e le loro piante ospiti
(Fonte: "Botanica, fondamenti di biologia delle piante", Mauseth)
Bibliografia e materiale di approfondimento consigliato
"Botanica, fondamenti di biologia delle piante", Mauseth, III edizione
"Soil microbiology, ecology and biochemistry" di Eldor A. Paul, IV edizione
"Fondamenti di chimica del suolo" di Sequi P., Ciavatta C., Miano T.
"Fondamenti di biochimica agraria" di Pinton R., Cocucci M., Nannipieri P., Trevisan M.
"Environmental Biotechnology: For Sustainable Future" di Ranbir Chander Sobti, Naveen Kumar Arora e Richa Kothari
"Symbiotic Nitrogen Fixation and the Challenges to Its Extension to Nonlegumes" di Florence Mus, Matthew B. Crook, Kevin Garcia, Amaya Garcia Costas, Barney A. Geddes, Evangelia D. Kouri, Ponraj Paramasivan, Min-Hyung Ryu, Giles E. D. Oldroyd, Philip S. Poole, Michael K. Udvardi, Christopher A. Voigt, Jean-Michel Ané e John W. Petersa
"Role and perspective of Azotobacter in crops production" di Reginawanti Hindersah, Nadia Nuraniya Kamaluddin, Suman Samanta, Saon Banerjee, Sarita Sarkar
"Legume growth-promoting rhizobia: An overview on the Mesorhizobium genus" di Marta Laranjo, Ana Alexandre e Solange Oliveira
"The Importance of Nitrogen-Fixing Bacteria Azotobacter chroococcum in Biological Control to Root Rot Pathogens (Review)" di Muneer Saeed M. Al-Baldawy, Ahed A. A. H. Matloob and Mohammed K. N. Almammory
"Biological control of Azotobacter chroococcum on Fusarium solani in tomato plan" di Sraa Nsayef Muslim, Rawa Abdul Redha Aziz and Asmaa Mansour Al-Hakeem
"Role of biofertilizers in agriculture: a brief review" di T.M. Abdel Ghany, M.M. Alawlaqi and M.A. Al Abboud
"The imperative for regenerative agriculture" di Christopher J Rhodes
"Key Role of Bacterial NH4+ Metabolism in Rhizobium-Plant Symbiosis" di Eduardo J. Patriarca, Rosarita Tatè, e Maurizio Iaccarino