Trattasi solo di una lieve tendenza statistica, sia chiaro. Infatti, stando al rapporto olandese, vi sarebbero fluttuazioni nei risultati a seconda del tipo di coltura e di patologia, sebbene non si possa affermare che l'uso dei pesticidi ne sia la causa o meno.
Per esempio, sarebbe stata rilevata una maggiore mortalità per malattie respiratorie fra coloro che abitano in prossimità di campi di mais, ma non di tutte le altre colture. E poi un peso alla nascita più elevato fra i bambini nati nelle vicinanze di orzo estivo.
Ancor più difficile capire qualcosa su malattie molto rare come il Morbo di Parkinson, visto che bastano un paio di casi in più o in meno in un raggruppamento statistico per fare posizionare "casualmente" quel gruppo da una parte o dall'altra del confine. Ciò non di meno, vi sarebbe qualche caso in più del Morbo fra chi vive vicino ai frutteti, ove sarebbero maggiori anche i casi di irritazioni agli occhi. Un'eventualità, questa, che in effetti appare più ragionevole anche statisticamente, viste le applicazioni reiterate di prodotti. Sempre che queste irritazioni, testimoniate, siano davvero reali o frutto di suggestione dovuta alla domanda nel merito. Perché anche la psicologia ha un suo peso considerevole quando si parli di pesticidi.
Infine, alcuni casi in più di leucemia sarebbero stati annotati nelle vicinanze di appezzamenti coltivati a cereali e barbabietole in rotazione.
I ricercatori del Rivm si mantengono quindi prudenti, perché la tendenza media dei livelli di salute è la risultante delle singole tendenze specifiche per patologia. Il che significa che ogni risultato, migliorativo o peggiorativo, potrebbe essere dovuto banalmente a semplici fluttuazioni statistiche prive di un nesso causale. Altrimenti si dovrebbe concludere che per tutte le patologie differenti da quelle sopra elencate i pesticidi facciano pure bene, visto che ne diminuirebbero l'incidenza. Cosa che ovviamente non appare plausibile.
Al momento, quindi, il Rivm sta approfondendo gli aspetti legati all'esposizione reale dei cittadini, al fine di completare i dati preliminari raccolti unicamente su base cartografica. Un lavoro molto complesso e delicato quello che si prefigge l'istituto olandese, perché è tutto tranne che facile stimare l'esposizione a prodotti immessi nell'ambiente in modo intermittente, spesso una o due volte l'anno, come per esempio erbicidi e fungicidi su colture erbacee come mais, orzo e grano.
Il monitoraggio dovrà quindi essere capillare e prolungato nel tempo, al fine di appurare eventuali oscillazioni di sostanze attive nell'organismo dei residenti e se le concentrazioni a cui essi sono esposti possano rappresentare un rischio per la salute oppure no.
Nel frattempo, il Ctgb, acronimo di Consiglio per l'autorizzazione dei prodotti fitosanitari e biocidi olandese, ha deciso che in base a questi studi del Rivm non sia necessario intervenire sui processi di valutazione alla base delle attuali autorizzazioni esistenti. Processi che peraltro sono molto complessi e meticolosi, nonostante vi siano pesanti accuse a loro carico di non esserlo.
Accuse spesso nate da istituti o associazioni che avrebbero tutti gli interessi a dirottare verso le proprie tasche i considerevoli budget che le multinazionali spendono oggi per registrare le proprie molecole a livello europeo tramite Efsa. Perché non sempre i sedicenti "istituti indipendenti" sono sinonimo di specchiata onestà intellettuale e affidabilità scientifica. Specialmente quando passino più tempo sui media a fare allarmismo che in laboratorio a fare ricerca.
Sia come sia – e futuri studi confermeranno o smentiranno - a guardare il risultato medio ricavato in Olanda dal Rivm, pare che vivere vicino ai campi coltivati olandesi per lo meno non faccia male. Uno studio, quello olandese, che porta a conclusioni differenti rispetto a una ricerca analoga svolta nella San Joaquin Valley, in California, nel 2017. Da questo emergerebbero delle relazioni tra vivere vicino a terreni agricoli e problemi di salute. Tema sul quale Ctgb e Rivm hanno infatti puntualizzato che fra i due studi non vi sono punti di contatto, visto che la situazione americana non è per nulla paragonabile a quella dei Paesi Bassi.
Come al solito, ogni studio e ogni conclusione che da esso si può trarre deve essere sito-specifica. Perché sono sempre le pratiche agricole a fare la differenza. Un aspetto sul quale sarebbe meglio focalizzare l'attenzione, anziché assecondare ogni tipo di crociata abolizionista che chiede il bando delle molecole, anziché delle cattive abitudini di chi le applica.