“Sono ottimista e sulle energie rinnovabili in Italia vedo in futuro occupazione e crescita. E la parola chiave nei prossimi anni sarà crescita, oltre che ambiente”.

Parola di David Chiaramonti, ingegnere e docente all’Università di Firenze di Tecnologie e processi per la conversione energetica delle biomasse.
Un settore che ad oggi non sembra risentire della crisi, tanto che – in base al documento di studio Energy Vision 2013, presentato dal World Economic Forum - le rinnovabili, nel 2012, hanno registrato ricavi per 184 miliardi di dollari in tutto il mondo.
Anche l’Italia può sorridere, visto che le stime del Gse per il 2012 indicano una crescita del 13,7%, con il solare e l’eolico a fare da traino. “La cifra di 184 miliardi di dollari indica un valore impressionante dei ricavi generati”.


Professor Chiaramonti, è sorpreso per il dato?
“Diciamo che sono impressionato positivamente. La cifra obbliga a qualche ulteriore osservazione di carattere generale. È evidente che siamo in una fase di transizione energetica: il vecchio e consolidato sistema - basato sulle fonti fossili - è in affanno, pur se ben lungi dall’essere in via d’abbandono. A questo settore energetico tradizionale se ne sta affiancando uno che non è più di nicchia, e che interessa non solo i ricercatori, gli ambientalisti, e gli appassionati della materia, ma che è ormai diventato un settore economico importante”.

Siamo andati oltre la fase di approccio culturale, quindi?
“Assolutamente sì. Siamo di fronte ad un settore ormai maturo industrialmente, in grado di penetrare il mercato sia nella grande che nella piccola e micro scala. E questo non solo da noi, ma anche nei Paesi emergenti. Faccio un esempio molto semplice di un piccolo progetto: nel cuore del Brasile si ricorre al gasolio come combustibile per alimentare i pivot per irrigare i campi, con costi ambientali ed economici elevati, dal momento che il trasporto avviene su gomma; oggi con le energie rinnovabili i pivot possono essere utilizzati senza ricorrere al gasolio ma con risolre disponibili localmente.
Con benefici a largo raggio. In molti ambiti siamo ormai in presenza quindi di un vero e proprio settore industriale, che è cresciuto e compete e col settore fossile. Pensiamo anche alla Cina, che ha ritmi di crescita parametrati alle proprie capacità di investimento”.


Nelle scorse settimane, il presidente di Rinnova Green Energy, Angelo Scaravonati, ha dichiarato ad Agronotizie che il futuro delle rinnovabili dovrà guardare più a finalità di energia termica che alla produzione di energia elettrica. È d’accordo?
“Il panorama delle rinnovabili ha molti orizzonti possibili, dal termico all’elettrico, ai trasporti; come pure la digestione anaerobica per la produzione di biogas e di biometano, oppure la produzione di prodotti chimici verdi.
Dobbiamo chiederci, in effetti, cosa è meglio fare di volta in volta ed in ciascun specifico contesto. Sull’elettrico abbiamo già dei numeri importanti, ma siamo anche in presenza di un interessante parco di impianti per la generazione di calore. Le biomasse completano molto bene il quadro, su questo aspetto sono d’accordo con Rinnova”.


La frontiera dei prossimi anni riguarderà la chimica?
“Ritengo assolutamente di sì. Saranno comunque i Paesi che individueranno le scelte più logiche per la situazione contingente e per gli assi di sviluppo futuri e a creare le condizioni perché ciò si realizzi. Quello che è certo, è che non sarà soltanto il bilancio ambientale a determinare tali indirizzi. Si valuterà caso per caso se il futuro significherà potenziare le energie rinnovabili verso il calore, l’energia, la chimica o i trasporti”.

È stato approvato, ormai col governo precedente, il Sen (Strategia energetica nazionale). Non tutti hanno condiviso l’emanazione di un documento così rilevante in una fase di passaggio del testimone al futuro Esecutivo. Qual è il suo commento?
“È difficile dare una risposta. L’energia è una delle materie fondamentali, come altre nel nostro Paese, che richiedono giustamente molta attenzione. Pur comprendendo che rimandare decisioni in questi ambiti può essere controproducente, le modalità con cui è stato emanato il documento sono state recentemente oggetto di critiche da diverse associazioni del settore. Una maggior considerazione dei commenti e dei rilievi emersi in fase di consultazione sarebbe stato auspicabile, ed anche la forma seguita lascia delle perplessità. Detto ciò, se guardiamo i dati pubblicati recentemente sulla Germania, appare evidente che, grazie alle tecnologie green, Berlino ha visto crescere il Pil e gli investimenti e sarebbe quindi auspicabile procedere rapidamente in questa direzione”.

Germania al primo posto. E l’Italia?
“Non siamo messi così male. E non parlo solamente di produzione, ma anche di tecnologie. L’Italia ha una grande tecnologia, molto apprezzata ed esportabile. Dai dati 2011 (stime) diffusi da EurObservER ad inizio 2012, gli ultimi disponibili, l’Italia si colloca, nella produzione di energia eolica, al quinto posto nell’UE-27, con 9.856 TWh prodotti; al secondo posto nel fotovoltaico, con 12786 MWp installati; siamo primi nella produzione di energia da mini-idro e da geotermico;  terzi con 3404 GWh (stima del +50% in più rispetto al 2012); occupiamo il settimo posto in classifica nella produzione di bioetanolo (ma con importanti prospettive di crescita) ed il terzo nella produzione di biodiesel (settore ormai consolidato). Insomma, siamo fra i primi, anche se la Germania detiene il primo posto. Le bioenergie sono un’opportunità fantastica da cogliere”.

Lei è un grande esperto di biofuel. Qual è la situazione in questo ambito?
“La situazione è molto incerta su quali saranno le prospettive di medio e lungo periodo. Nel corso di questo mese dovrebbe uscire un Libro Verde da parte della Commissione europea sul tema 'Beyond 2020', per inquadrare la situazione oltre appunto il 2020. È un lavoro preparatorio in vista delle decisioni in merito, forse nel 2018, ma già oggi, tenuto conto che per progettare e realizzare impianti di grandi taglie sono necessari quattro o cinque anni, gli investitori devono poter conoscere quali saranno le politiche dell’Unione europea nei confronti delle energie rinnovabili e, nello specifico della sua domanda, dei biofuel”.

Accanto all’attività di docenza accademica, lei è anche il responsabile scientifico di un grande progetto europeo, Biolyfe. In Piemonte sorgerà la più grande bioraffineria del mondo. a che punto è il progetto?
“L’impianto, realizzato dalla Mossi & Ghisolfi a Crescentino, è in fase di start up e produrrà 40mila tonnellate di etanolo ed energia elettrica dal co-prodotto lignina. Su questo progetto vi è una grandissima attenzione sia a livello Nazionale che a livello Europeo ed internazionale, e si tratta di una eccellenza per il nostro Paese".

A Marghera Eni punterà sul biodiesel avanzato, alle porte di Mantova la situazione del petrolchimico non è delle migliori, così come in altre aree del Paese. Le bioenergie possono essere un’opportunità?
“Assolutamente sì. Anche se bisogna valutare attentamente le peculiarità delle aree e valutare le situazioni agricole ed imprenditoriali caso per caso. Recuperare i siti Sin (Siti di interesse nazionale) puntando sulle energie pulite, dai biofuel ai bio-product rappresenta comunque un modo per riqualificare zone in difficoltà”.