È ormai assodato che il grano duro turco e quello proveniente dal Mar Nero hanno determinato il ribasso dei prezzi del grano duro fino nazionale. Ma si levano da tempo molti dubbi e interrogativi su questa manovra, che ha consentito al settore molitorio e pastaio italiano di disporre di materia prima estera in anticipo sui normali tempi di consegna da Usa e Canada e ad un prezzo stracciato rispetto alle quotazioni nazionali ed ai prezzi di riferimento internazionali.

 

Per questo motivo, da circa due mesi il senatore lucano Saverio De Bonis (Forza Italia), aderente alla Confederazione Italiana Liberi Agricoltori è al lavoro per capire cosa stia realmente succedendo e se e come si può fermare un movimento di mercato che di fatto mette nell'angolo i cerealicoltori italiani.

 

De Bonis ha ispirato e promosso una raffica di interrogazioni parlamentari - ben cinque, delle quali due presentate al Parlamento Europeo, due al Senato della Repubblica ed una alla Camera dei Deputati - tutte firmate da altri parlamentari di vari gruppi politici. Un'attività parlamentare di sindacato ispettivo intensa, volta capire due cose:

  • se la Turchia (o anche la Russia aggirando l'embargo), hanno effettivamente commesso un'attività di dumping e perché non sono state fermate;
  • per sapere se sono stati effettuati adeguati controlli sanitari alla frontiera ai sensi del Regolamento Ue 1158/2020, atteso che le derrate provenienti da Turchia e Russia sono a rischio di contaminazione nucleare, precisamente da Cesio 137, un radionuclide risultato dell'esplosione della centrale nucleare di Cernobyl, avvenuta nell'aprile 1986.

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L'evoluzione del mercato del grano duro

I prezzi del grano duro fino nazionale sono ormai sostanzialmente fermi intorno ai 400 euro alla tonnellata da oltre un mese, nonostante la produzione del Nord America, ormai a raccolto ultimato, sia stimata in netto calo rispetto all'anno scorso: 1,6 milioni di tonnellate negli Usa, poco più di 4 milioni di tonnellate in Canada.


 A provocare l'arresto dell'ascesa dei prezzi e il loro tonfo è stato l'arrivo nei porti italiani di grano duro proveniente dalla Turchia, pagato a 360 od a 390 euro alla tonnellata, secondo alcune fonti di AgroNotizie® anche a soli 320 euro.

 

Le notizie sugli arrivi di grano duro turco iniziano a diffondersi in agosto, con le borse merci chiuse per ferie, dopo che ai primi del mese il grano duro fino nazionale alla Borsa Merci di Foggia aveva raggiunto quotazioni di 460 euro alla tonnellata sui massimi e Borsa Merci Bari aveva toccato sul medesimo cereale i 450 euro alla tonnellata sui massimi. Alla fine di agosto, alla riapertura delle borse merci, si registra il crollo dei prezzi, che a Foggia tocca i 60 euro in meno a tonnellata.

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Per capire di più, ecco la testimonianza del senatore Saverio De Bonis, che aderisce alla Confederazione Italiana Liberi Agricoltori ed è presidente dell'associazione Granosalus.

 

Senatore De Bonis, come nasce l'importazione di grano dalla Turchia?

"Secondo le mie fonti riservate, sin dal mese di giugno 2023 un gruppo di importatori italiani hanno preso contatto con la Turchia e richiesto certificati di esportazione (impegni di acquisto) per 1,3 milioni di tonnellate di grano duro nella campagna commerciale 2023-2024, approfittando di una produzione del cereale in Turchia che si prospettava abbondante e della disponibilità da parte del Governo turco di tornare in forze su questo mercato, dopo anni di sostanziale fermo. In questo contesto vale la pena notare come negli anni scorsi la Turchia abbia venduto grano duro all'Italia, mantenendo una quota dell'import italiano valutata da Ismea appena all'1,4% nel quinquennio 2018-2022 e praticando prezzi aderenti a quelli internazionali. Attualmente, secondo i dati della Commissione Ue, dal 1° luglio al 1° ottobre 2023, la quota di import è arrivata al 44,5%, mentre i prezzi sono sensibilmente più bassi del mercato internazionale".

 

La novità della campagna 2023 in cosa consiste?
"Facciamo un passo indietro: nel 2021 il raccolto di grano duro turco è stato molto basso e il Governo di Ankara ha modificato le norme sulla produzione di pasta alimentare destinata all'export verso i Paesi del Medio Oriente, consentendo l'utilizzo anche di sola farina di grano tenero e abolendo la soglia massima obbligatoria del 30% di farina di grano tenero, a fronte di una mescola contenente almeno il 70% di semola grano duro. A fronte di queste nuove norme, in un'annata buona, come quella 2023, con una produzione di 4,1 milioni di tonnellate di grano duro, una parte di questa si è resa disponibile per l'export. Ecco perché autorevoli analisti di mercato stimano ancora in 1,3-1,4 milioni di tonnellate il potenziale export di grano duro turco verso la Ue".

 

Nelle interrogazioni parlamentari che lei ha ispirato, si chiede di indagare se siano state violate le norme sull'Unione doganale tra Turchia e Ue, perché?
"In Turchia i prezzi di acquisto del grano duro, come di altre commodity, vengono fissati dall'autorità statale, una pratica vietata dal diritto europeo sulla concorrenza. Per il 2023 il grano duro è stato fissato in 345 euro alla tonnellata il 6 giugno scorso, un valore che seppur innalzato dal Governo turco, è poi diminuito per effetto della svalutazione della lira turca. Forse anche per questo motivo, i prezzi contrattati Fob sono stati di almeno 80 euro inferiori ai 345 euro alla tonnellata, conseguentemente i prezzi allo sbarco in Italia Cif si sono attestati verosimilmente tra i 380 ed i 390 euro alla tonnellata, determinando lo shock sui mercati di cui tanto si parla".

 

In tal caso cosa sarebbe accaduto?
"Si potrebbe ben trattare di una palese violazione degli accordi dell'Unione doganale, ecco perché abbiamo richiesto un'indagine della Commissione Ue. Inoltre sui dazi, il protocollo (2) della decisione 1/98 del Consiglio di associazione Comunità Europea-Turchia prevede che la riduzione del dazio al 100% sul frumento duro agisca dal 1° settembre al 31 maggio dell'anno successivo su un contingente tariffario di 100mila tonnellate al massimo. Non è noto se il grano turco arrivato in Puglia (105mila tonnellate nel periodo luglio-agosto) abbia beneficiato o meno della riduzione dei dazi".

 

Cosa avete chiesto a Governo e Commissione Ue?
"Ci è sembrato necessario richiedere al Governo e direttamente alla Commissione Europea una diversa regolamentazione dei dazi verso la Turchia e soprattutto alla Commissione di verificare se gli sbarchi di grano nel periodo luglio-agosto in Puglia siano stati assoggettati alle previste prescrizioni sui dazi; come pure va appurato se la Turchia non si presti a triangolazioni di grano russo, al fine di eludere i dazi e l'embargo e destabilizzare il nostro mercato. Il rischio è che gli sbarchi continuino a destabilizzare il mercato a lungo e che a pagare le conseguenze geopolitiche di queste distorsioni siano gli agricoltori e i consumatori italiani".

 

Reazioni da parte della Turchia?
"In via informale apprendiamo che la Turchia potrebbe limitare le esportazioni a 700-800mila tonnellate verso l'Unione Europea e con un prezzo diverso: qualcosa si sta muovendo ma occorre, lo ripeto, un'azione decisa della Commissione Ue per accertare i fatti e prendere decisioni coerenti con i trattati internazionali".

 

Sul grano importato russo e turco esistono anche preoccupazioni di ordine sanitario?
"Certo e sono molto forti, perché la Turchia e la Russia, rientrano nell'elenco previsto all'articolo 1, paragrafo 1, del Regolamento UE 1158 del 2020 della Commissione relativo alle 'Condizioni d'importazione di prodotti alimentari originari dei Paesi terzi a seguito dell'incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl'.
Questo significa che, dati anche gli ingenti quantitativi di grano duro in arrivo, è necessario un controllo stringente sui radionuclidi ed in particolare sul Cesio 137, a fronte di controlli sulle navi in arrivo meramente documentali, senza alcun campionamento a fini di analisi tossicologiche. Sulla sicurezza alimentare non possiamo scherzare. Tale contaminazione può ancora costituire una minaccia per la salute pubblica nell'Unione. E di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, ci viene in soccorso il principio di precauzione previsto dall'attuale legislazione alimentare (Regolamento (CE) n. 178/2002). Tale principio si fonda sulla necessità che, a richiesta dello Stato di destinazione della merce, l'importatore dimostri la non nocività del bene da importare. L'ultima interrogazione parlamentare del Senato chiede al Governo italiano di intervenire proprio su questo punto, perché i consumatori italiani sono al primo posto al mondo per consumo di derivati del grano duro".

 

Come possiamo difendere i produttori e i consumatori italiani?
"Ci sono almeno tre livelli d'intervento per difendere la nostra sovranità alimentare, che poi significa difendere gli anelli deboli della filiera. Il primo è all'origine, il secondo è nei passaggi della filiera e il terzo è nell'etichettatura".

 

Bene proviamo ad analizzarli uno per uno: come è possibile difendere i cerealicoltori italiani?

"L'Italia si approvvigiona su molti mercati internazionali, ma si registra uno scollamento tra criteri di valutazione della qualità internazionale, dove si tiene conto dei residui tossicologici, e criteri della qualità nazionale, dove si considerano solo gli aspetti reologici, connessi strettamente all'origine, natura e alle modificazioni del grano. Questo scollamento favorisce molto la speculazione e le frodi. Una soluzione strutturale - che pure è stata prospettata in una delle interrogazioni parlamentari - è quella di prevedere per legge una griglia di qualità tossicologica nell'ambito della Commissione Unica Nazionale del Grano Duro, per armonizzare le quotazioni nazionali rispetto al mercato internazionale, salvaguardando così la salute del consumatore finale. La griglia sarebbe in grado di differenziare le caratteristiche della granella, non solo sulla base dei parametri merceologici come il peso ettolitrico, l'umidità, il contenuto proteico, e reologici, quali le peculiarità del glutine o l'indice di giallo, ma anche sulle base delle caratteristiche chimiche e microbiologiche intese come contenuto di: micotossine, furosine, diserbanti, agrofarmaci (molto utilizzati nella conservazione del grano nei silos), metalli pesanti e radionuclidi".

 

Una griglia complessa, ma quali vantaggi ne avrebbero l'agricoltore ed il prodotto?

"In questo modo il prodotto italiano all'origine verrebbe differenziato e valorizzato, ma soprattutto gli agricoltori tornerebbero a coltivare grano anche nelle zone marginali. Agea stima che oltre 3,7 milioni di ettari sono abbandonati e potrebbero tornare in produzione. Solo così potremmo recuperare capacità produttiva, cercare di essere autosufficienti, dare stabilità alla nostra economia e non dipendere dagli altri Paesi, specie in caso di guerre. Si chiama sovranità alimentare e non è uno slogan".

 

Ma sarebbe opportuno anche interrogare il Governo su come vengono spese le risorse in favore del made in Italy?

"Le rispondo con una domanda: dove viene stoccato in Italia tutta questa quantità di grano estero e con quali risorse? Non si può continuare a finanziare con le risorse della fiscalità pubblica l'attività d'importazione, fingendo di aiutare i produttori nazionali. Così la filiera italiana viene distrutta perché molti di questi importatori beneficiano di risorse pubbliche per realizzare centri di stoccaggio che, nell'ambito delle filiere nazionali sul made in Italy, dovrebbero immagazzinare grano italiano e differenziarlo. In realtà i silos vengono utilizzati per stoccare grano straniero. Anche molte cooperative, dopo aver ricevuto finanziamenti pubblici per agevolare lo stoccaggio di grano italiano dei propri soci, affittano i silos a commercianti e importatori per stoccare grano straniero. Occorrerebbe vietarlo per legge, regolamentare in maniera più stringente l'erogazione dei benefici pubblici e controllare l'effettiva destinazione d'uso attraverso una rigorosa tracciabilità.

 

Il secondo è nei passaggi della filiera: cosa fare per rendere tutto più trasparente?
"Slittare al 2025 l'istituzione del Registro Telematico dei Cereali non aiuta a realizzare quel sistema di tracciabilità necessario a garantire una maggiore sicurezza alimentare per i nostri consumatori e a spuntare gli artigli agli speculatori".

 

Il terzo è nell'etichetta, cosa si può fare di più?

"Oltre al principio di precauzione, che impone agli importatori di dimostrare la non nocività del grano, l'attuale etichettatura non informa in modo chiaro e consapevole i consumatori di pasta, pane e altri derivati dei cereali. Oggi, la blockchain può garantire trasparenza e tracciabilità di dati su origine, qualità e stato degli alimenti. Una leva strategica per una maggiore consapevolezza di quello che si consuma, dal momento che prodotti di qualità superiore impattano positivamente sulla salute dei consumatori, sulla loro qualità della vita e, non da meno, sul bilancio sanitario pubblico".

 

Per approfondire ulteriormente il tema, ecco un elenco in ordine cronologico delle interrogazioni parlamentari sul tema del grano duro turco:

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