Della loi alimentation abbiamo già scritto e ci piacerebbe scrivere in futuro, dato che potrebbe rappresentare un esempio anche per il nostro Paese. I francesi hanno messo in ordine, dal punto di vista giuridico e costituzionale (ovvero del diritto dei cittadini – e degli agricoltori), nei rapporti tra ambiente-agricoltura-alimentazione definendo un concetto di democrazia alimentare che si lega a quello di sovranità alimentare enunciato a suo tempo al World food summit di Roma. Il caposaldo della legge era di: “... bilanciare le relazioni commerciali nel settore agricolo e alimentare e assicurare un cibo sano e sostenibile”.
L’esperienza francese è stata largamente utilizzata anche dall’Unione europea per ben nota la direttiva 2019/633 riguardante le pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare.
Da quanto fin qui detto ci si aspetterebbe che in Francia lo sbilanciamento fra agricoltori e dettaglianti/industria sia un brutto ricordo oramai dimenticato: nulla di tutto questo. Nella mia ultima visita transalpina avrei immaginato di trovare immaginette santificate del garrulo Macron ad ogni ingresso di azienda agricola. Ho trovato invece agricoltori sempre più inferociti.
Nel passato, le citate leggi Galland e Dutreil si rivelarono qualche cosa vicino al fallimento. Il "nemico" (la Gdo) era troppo furbo e ben organizzato. Pare, diciamo pare, che anche gli ultimi provvedimenti francesi in tema di concorrenza non riescano a sortire gli effetti voluti (forse per gli stessi motivi).
Che fare? Noi avremmo in mente una soluzione semplice. Alle prime 100 risposte ricchi premi e, ça va san dire, cotillon – ricordiamo però che per ogni problema complesso c’è una soluzione semplice. Che è sbagliata.