Per molti è stato il miglior Ministro all’Agricoltura di sempre. Per altri forse no.
Sia come sia, Paolo De Castro è persona sicuramente competente e saggia. Opera ormai da anni a livello europeo in qualità di Coordinatore della Commissione Agricoltura e sviluppo rurale e quando interviene ai convegni lascia sempre, a volte suo malgrado, molto amaro in bocca. Laceranti appaiono infatti le discrepanze fra ciò che l’Europa offre all’Italia e le capacità del Bel Paese di coglierle.
In tema di soia, De Castro è intervenuto in video-conferenza a un convegno organizzato da Sipcam Italia presso il Parco Tecnologico Padano di Lodi, testimoniando il grave problema della totale dipendenza del Vecchio Continente dalle importazioni di proteine vegetali, soia in primis.
 
Il tema della produzione di soia è stato a lungo dibattuto, anche in tema di aiuti accoppiati, arrivando fino al 13%,per fornire un aiuto in più alle proteine vegetali. Alcuni Stati membri non hanno approfittato di questa opportunità. Fra questi, manco a dirlo, l’Italia.
Per contro, la Cina non ha spinto ultimamente solo sull'odiosa pratica del Land Grabbing che le ha permesso di coltivare all’estero le produzioni di soia a lei necessarie, bensì è diventata anche protagonista in Brasile di acquisizioni di aziende di produzione ed esportazione di soia. In tal modo, il Celeste Impero si è assicurata una continuità di forniture qualsiasi cosa accada a livello geopolitico: se la produce e se la importa. Fine della discussione.
 
Ciò deve far preoccupare, perché tali dinamiche rendono incerta la costanza di approvvigionamenti di soia in futuro per chi non sia altrettanto organizzato. L’aiuto economico attualmente legato ai primi dieci ettari coltivati può cambiare le cose? Secondo De castro in Italia non pare vi sia stata molta voglia di essere protagonisti in tal senso. È mancata infatti l’attenzione verso questo problema e la palla ora è nelle mani degli Stati membri. Innanzitutto andrebbe rimesso in discussione il 5% di terre da mettere a riposo, percentuale che secondo l’ex-Ministro andrebbe convertita a destinazioni differenti.
Circa poi il Greening, ovvero i sussidi a fronte dell’adesione a programmi di gestione aziendale maggiormente eco-compatibili, il problema cruciale è che abbiamo introdotto ben il 30% di risorse legate ad esso. Peccato non vi sia una misura oggettiva dei vantaggi ambientali che sarebbero derivati dal Greening stesso. Lo sforzo chiesto agli agricoltori, con la maggiore burocrazia e controlli, quanti benefici ha generato? Non è chiaro né dimostrabile. Quindi sicuramente anche il Greening verrà rimesso in discussione in modo che diventi più semplice da applicare e poi controllare.
 
Più vi saranno progetti condivisi transnazionali – sempre secondo De castro –  e più sarà probabile giungano iniziative a favore di progetti come Soia Italia, la società che racchiude diversi stakeholders della filiera della soia italiana, fra cui appunto Sipcam Italia.
Aumentare la produzione nazionale di soia andrebbe anche incontro alle richieste di prodotti ogm free, sebbene secondo De Castro andrebbero anche rivalutate le posizioni sugli ogm. Il biotech si è infatti evoluto parecchio nel tempo e sarebbe quindi ora di riprendere un tema che ormai a livello mondiale sta dimostrandosi vitale. Siamo infatti in grado di intervenire all’interno del patrimonio genetico delle piante, senza più trasferire geni fra specie diverse, ovvero le pratiche che più hanno generato avversione nei confronti degli ogm. Questi evocano infatti un concetto di organismi “contro Natura”, sebbene molte ricerche siano state fatte e le competenze siano di molto aumentate. Le nuove tecniche messe oggi a disposizione della ricerca potrebbero consentire di riaprire il dibattito sul biotech, questa volta (magari) in modo razionale. Per l’ex-Ministro non si può peraltro nemmeno bloccare la ricerca su questo fronte.
 
Sempre circa gli ogm, il Parlamento ha infine bocciato la proposta di permettere ai singoli Stati membri di proibire la circolazione delle merci biotech, anche perché la dipendenza che l’Europa ha rispetto a questi beni la mette in una condizione che non permette tali blocchi. Ogni Paese decida quindi se li vuole coltivare, ma nessun Paese potrà mai impedirne impunemente la circolazione come alimenti, umani o zootecnici.
 
Il mercato pare tenga però conto più di aspetti oggettivi rispetto a quelli condivisi della stampa, tendenzialmente sensazionalista. Infatti, la soia gm costa più di quella normale. Un po’ come avviene col grano duro straniero che spesso costa di più di quello italiano perché offre caratteristiche qualitative che lo rendono più apprezzato dai mercati. Per la soia, forse, vi sono alle spalle motivazioni simili (la soia gm vuol dire quindi che è migliore di quella normale? - nda).
Grazie al principio di “sostanziale equivalenza” Brasile e altri Paesi hanno liberalizzato gli ogm.
La Spagna ha approfittato dell’apertura della Ue e ha deciso di continuare sulla strada biotech senza che vi sia una popolazione che si manifesti contraria. L’Europa la possibilità l’ha quindi data, se l’Italia non lo vuole è problema suo. Ciò ha eliminato una grande quantità di contenziosi, andati avanti all’infinito in assenza di dati che supportassero le accuse di provocare danni ad ambiente e salute.

In altre parole - verrebbe da immaginare il paragone - la Ue si è liberata delle “riunioni condominiali” in cui alcuni condomini rallentavano i lavori portando istanze capaci più che altro di far perder tempo anche a chi delle loro piccole beghe casalinghe non importava alcunché.
 
Difficile sarà però cambiare questa strada a breve. Secondo De Castro si dovrà lavorare molto sulla comunicazione, per fare capire all’opinione pubblica che gli ogm sono già ampiamente utilizzati quotidianamente, come per esempio nei farmaci, e non vi sarebbe quindi alcun problema se conquistassero anche l’agricoltura.
 
A una precisa domanda sui Psr De Castro risponde nel solito modo pacato e colloquiale, ma fra le righe non risparmia commenti: ne sono stati approvati finora da Bruxelles circa una decina. I ritardi, prevalentemente italiani, sono stati dovuti anche ai recenti ricambi nelle amministrazioni regionali post-elezioni amministrative.
Gli incontri di partnerariato intanto proseguono ed entro la fine dell’anno dovrebbero esserci tutti. Di sicuro, l’Italia ci mette molto del suo per complicare la vita agli interlocutori europei: in Francia, per esempio, vi è un disciplinare unico a livello nazionale ed è composto da 25 pagine. In Italia ne abbiamo uno per Regione e la somma delle pagine raggiunge più o meno le 1.200. E questo è un problema anche per Bruxelles che se le deve leggere tutte. L’Italia, cioè, si massacra come al solito da sola.

Nota dell’autore: su questo meditino magari i soloni nazionali. Quelli che spesso si atteggiano a primi della classe gabellando prolissità e farraginosità per solerzia e rigore. I veri primi della classe sono quelli che in poco tempo mettono nero su bianco tutto ciò che di essenziale va scritto. Del resto, perfino la pubblicazione che portò al Nobel Watson e Crick sulla struttura a doppia elica del dna non superava le venti pagine…
 
Non si sa se le parole di De Castro giungeranno a bersaglio. Non si sa se l’italietta (scritta volutamente minuscola) sarà capace di scrollarsi di dosso gli usuali provincialismi e bizantinismi che la rendono spesso zimbello della Comunità europea. Lo si può solo sperare. Come si può solo sperare che nelle decisioni vi sia sempre meno Italia e sempre più Europa.
 
Del resto l’Uomo ha sognato per millenni di salire sulla Luna, senza mai avere i mezzi per riuscirci. Poi un giorno ce l’ha fatta. Chissà…

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