Risalgono a giugno gli ultimi casi di influenza aviaria in Italia, segnalati dal Centro di referenza per questa patologia, presso l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Focolai prontamente circoscritti e resi inoffensivi, fermando l’espandersi del virus.
Di quanto sia pericoloso questo patogeno per gli allevamenti avicoli AgroNotizie ne ha già parlato diffusamente, ricordando anche il ruolo degli uccelli migratori nella diffusione dell’agente eziologico.

La pronta risposta dei servizi veterinari italiani ha scongiurato il pericolo, ma non per questo si può stare tranquilli, considerando la diffusione di questa patologia in molti paesi europei.
Una preoccupazione rilanciata in questi giorni da Efsa, l’Ente europeo per la sicurezza alimentare, che ha ricordato come sia alto il rischio che l’influenza aviaria possa diffondersi rapidamente in tutto il continente europeo.

In ottobre i casi segnalati sono stati 300, in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. Al momento la presenza del virus è stata rilevata prevalentemente in uccelli selvatici, ma visto il loro ruolo nella diffusione del morbo, non c’è da allentare la guardia.
Tanto più che un focolaio ad alta patogenicità (sottotipo H5N8) è stato segnalato nel Regno Unito, nelle contee di Cheshire e Herefordshire.
Cosa che ha indotto la Commissione europea a emanare una Decisione di esecuzione (la 2020/1742), con la quale ha stabilito i tempi e i modi di applicazione delle norme di contenimento della patologia.


Prevenire il rischio

Un eventuale coinvolgimento dell’uomo è possibile, ma improbabile, visto il salto di specie che il virus dovrebbe compiere. In ogni caso Efsa ribadisce l’importanza di prevenire il contatto dell’uomo con uccelli morti.

E’ alto invece il rischio che il virus possa entrare in un allevamento avicolo e in quel caso occorrono interventi drastici, come l’abbattimento degli animali, con le ovvie conseguenze economiche.
Danni ai quali si aggiunge il blocco dei commerci per le attività avicole dell’area compresa nella zona sottoposta alle restrizioni per arginare il diffondersi della malattia.
 

Peste suina

Non sono minori le preoccupazioni che negli ultimi mesi coinvolgono gli allevatori di suini. In questo caso la colpa è del virus della peste suina africana, che mentre sta per sparire, finalmente, dalla Sardegna, continua invece a diffondersi in molti paesi europei e non.

Gli ultimi focolai sono stati registrati in Germania, con conseguenze pesanti anche sui commerci internazionali, tanto che la Cina ha bloccato l’import delle carni di provenienza tedesca, che ora stanno premendo sui mercati europei, contribuendo così ad accentuare la crisi di mercato di questo settore.
 

Una lotta difficile

La peste suina africana non ha possibilità di essere curata e nemmeno è possibile prevenirla con le vaccinazioni, come già AgroNotizie ha avuto occasione di approfondire.

La lotta a questo virus, al pari di quanto avviene per l’influenza aviaria, è basata sul contenimento dell’infezione con l’abbattimento degli animali e il blocco dei commerci nelle aree interessate.
Le implicazioni economiche sono facilmente immaginabili e la presenza del virus in molti paesi europei è fonte di grande preoccupazione.
 

La diffusione

Ad oggi, come si evince dalla recente Decisione di esecuzione della Commissione europea (2020/1741), focolai della malattia sono presenti in: Bulgaria, Estonia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Ungheria.

Per l’Italia il pericolo dell’ingresso da Est del virus della peste suina africana è elevato, tenuto conto che uno dei possibili veicoli di diffusione è il cinghiale.
Un motivo in più per invitare gli allevatori a prestare più attenzione del consueto alle misure di biosicurezza per evitare che questo virus possa entrare in allevamento.
Per il settore, già alle prese con molte difficoltà di mercato, potrebbe trasformarsi in una vera e propria catastrofe.