Vale un quinto dell'intera produzione zootecnica nazionale. E con i suoi 3,4 miliardi di euro rappresenta il sette percento di tutta l'agricoltura. Questi i “numeri” della carne bovina in Italia, un settore che nonostante la sua importanza è però in contrazione e non da oggi. Due le cause. La concorrenza interna dovuta all’espansione dei consumi delle altre carni (suino e pollame in particolare). E poi l’aumento delle importazioni, soprattutto di origine extra-Ue. Un fattore, quest’ultimo, ormai consolidato anche per l’atteggiamento più aperto ai mercati internazionali, rispetto al passato, da parte della politica europea. Ma a far soffrire i produttori di carne è la mancanza di “materia prima, di vitelli da ingrassare. Così importiamo vitelli, prevalentemente dalla Francia, per poi ingrassarli nelle nostre stalle, dove completano il ciclo di allevamento. Accade così per circa la metà dei vitelloni prodotti in Italia. L'altra metà, di origine nazionale, è per lo più un “sottoprodotto” delle stalle da latte. Sono pochi insomma i capi italiani specializzati da carne, ed è anche per questo che molto del reddito che si produce nei vari passaggi di filiera non si ferma nei bilanci delle aziende di allevamento.

Il “Rapporto”

E' questo il quadro che emerge dall'analisi del settore pubblicata nel volume “Il mercato della carne bovina. Rapporto 2012” curato da Daniele Rama e pubblicato in questi giorni da Franco Angeli. Il Rapporto, giunto all’undicesima edizione, è stato realizzato per conto dell’Associazione italiana allevatori (Aia) dall’Osservatorio sul mercato dei prodotti zootecnici, un centro di ricerca che fa capo all’Alta scuola di management ed economia agro-alimentare (Smea) dell’Università Cattolica del S. Cuore di Piacenza.

Le proposte

Per far uscire il comparto delle carni bovine dall'area di difficoltà nella quale sembra irreversibilmente relegato, il Rapporto suggerisce di lavorare ad una nuova linea di carni “Made in Italy”. Questa potrebbe prendere origine dal settore del latte, oggi fonte principale di vitelli italiani da avviare all'ingrasso, conseguenza della rarefazione degli allevamenti di razze da carne. Un aiuto importante in questa direzione potrebbe venire dai sistemi di tracciabilità già esistenti e da quelli che si potrebbero implementare avvalendosi della esperienza della stessa Aia. Già oggi le etichette delle carni bovine riportano le indicazioni sulla provenienza e domani potrebbero tornare di attualità le etichettature facoltative (il Rapporto ricorda che sono 105 le organizzazioni già abilitate) o sancito l'obbligo di indicare le provenienze sulle preparazioni a base di carne. Solo ipotesi al momento, ma che potrebbero offrire, se tradotte in realtà, un utile strumento per orientare le scelte del consumatore. Se così non sarà, la prossima edizione del “Rapporto” non potrà che registrare un ulteriore contrazione del settore.