La fertilità del suolo dipende in gran parte dal contenuto di sostanza organica, per cui alla luce del suo livello tendenzialmente basso (∼1-2%), è fondamentale definire, fin dalla messa a dimora del pescheto, un adeguato piano di ammendamento utilizzando ad es. letame, ammendante compostato misto, prodotti vegetali freschi, questi ultimi però caratterizzati da un basso rapporto C/N e scarsa capacità di formare humus (Giovannini et al., 2001).
Nella formulazione del corretto piano di concimazione azotata bisogna considerare la fertilità del terreno, lo stato nutrizionale dell’albero, la cinetica di assorbimento da parte della coltura e le asportazioni (100-150 kg N/ha). Quest’ultime andrebbero attentamente valutate al netto di eventuali dosi di N “riciclate” (es. foglie, materiale potatura trinciato) o apportate con l’acqua di irrigazione (circa una decina di kg/ha, Montanaro et al., 2009).
In primavera l’albero utilizza le proprie riserve azotate fino a caduta petali; l’eccessiva disponibilità di N in questa fase determina la schiusura di gemme latenti e l’eccessivo sviluppo di germogli (Lobit et al., 2001). Dalla fase di caduta petali e fino all’indurimento del nocciolo, il pesco assorbe dal terreno circa il 25% del suo fabbisogno di N (in massima parte ripartito verso i giovani frutti e gli apici vegetativi in rapida crescita), che diventa 50% dall’indurimento del nocciolo fino all’arresto dell’allungamento dei germogli (necessario per l’accrescimento dei frutti e lo sviluppo vegetativo). Il restante 25% di N viene assorbito prima del riposo vegetativo per ripristinare le riserve azotate degli organi legnosi.

Le dosi di fertilizzante devono essere stabilite sulla base dell’N nitrico presente nel terreno (Tagliavini et al., 1995) che, nelle diverse fasi fenologiche del ciclo vegeto-produttivo del pescheto, non dovrebbe essere inferiore a 10 ppm. Nel caso si ricorra alla fertirrigazione, tali dosi possono essere ridotte di circa il 30% considerata l’alta efficienza distributiva di tale tecnica. L’inizio della ripresa vegetativa è una fase critica per la nutrizione azotata in quanto essendo il processo di mineralizzazione rallentato dalle temperature del suolo relativamente basse, l’N nitrico è disponibile a basse dosi. Inoltre, l’azoto potrebbe essere assorbito dal cotico erboso che in marzo-aprile solitamente è in fase vegetativa più avanzata rispetto alla coltura arborea.
Nel caso la dotazione di K del suolo sia ritenuta normale, si consiglia di apportare la quota di K asportata annualmente dai frutti. Se invece la concentrazione di K è inferiore alle 100-130 ppm, allora sarà necessario integrare la dose con una quota base (20-40 kg/ha) al fine di ripristinare la fertilità del suolo. In presenza di una disponibilità di K elevata (>200 ppm) la fertilizzazione può essere sospesa per alcuni anni, al fine di evitare spiacevoli fenomeni di competizione con Ca e del Mg. In questo caso è preferibile il ricorso alla concimazione fogliare con formulati a base di K, tecnica adatta anche nei casi di suoli ricchi della frazione argillosa, responsabile del sequestro del K.
 
L’adozione di portinnesti tolleranti al calcare attivo (ibridi pesco x mandorlo) rappresenta la strategia più efficace e duratura per prevenire i sintomi di clorosi ferrica, tradizionalmente controllata con l’applicazione al suolo (es. Fe-EDDHA o Fe-EDDHMA) o alla chioma (Fe-EDTA, Fe-DTPA) di chelati di ferro sintetici (10-15 g di formulato per albero). La farina di sangue, utilizzata soprattutto in frutticoltura biologica come fonte di N prontamente mineralizzabile, può essere utilizzata anche nella cura della clorosi ferrica, poiché presenta mediamente una concentrazione di Fe di 20-30 g kg-1 ss sotto forma di Fe2+ chelato al gruppo eme della molecola di emoglobina.
 
L’iniezione al suolo di vivianite sintetica, un fosfato ferroso analogo alla vivianite naturale, ottenuto mescolando 150 kg di solfato ferroso eptaidrato (97% di purezza) e 50 kg di fosfato mono-ammonico o biammonico (90% di purezza) in 1000 litri d’acqua (Rosado et al., 2002), consente di prevenire efficacemente l’insorgenza della clorosi ferrica del pesco (Rombolà et al., 2003). Così come l’inerbimento del frutteto con specie graminacee (Poa spp., Lolium spp. e Festuca spp.), in grado di rilasciare nel suolo fitosiderofori, sostanze chelanti naturali che aumentano la disponibilità di ferro anche a vantaggio delle piante arboree (Cesco et al., 2006; Ma et al., 2003).
Prove di lungo termine (9 anni), condotte nel ravennate, hanno dimostrato come sia possibile la gestione della nutrizione del pesco attraverso l’utilizzo in copertura di sostanza organica derivata da letame maturo, ma soprattutto da ammendante compostato misto alla dose di 10 t/ha di ss. Tale strategia ha permesso di mantenere livelli produttivi simili o superiori alla concimazione suggerita dai Disciplinari di Produzione Integrata della Regione Emilia-Romagna, di aumentare la sostanza organica, la concentrazione di N, P e K e la biomassa microbica del terreno senza il temuto rischio di lisciviazione dei nitrati e di aumento dei metalli pesanti.

Nella moderna peschicoltura i metodi irrigui devono essere necessariamente a microportata, e progettati per distribuire anche i concimi mediante la fertirrigazione.
Le esigenze idriche di un frutteto dipendono prevalentemente dal clima (temperatura ed umidità relativa dell’aria, vento, radiazione, piovosità) che incide sulla traspirazione delle foglie e sull’evaporazione dal suolo della specie. Tali effetti sono “inglobati” nel parametro Kc (coefficiente colturale) impiegato proprio per il calcolo del fabbisogno irriguo. Il Kc deve essere quindi accurato e tener conto anche di caratteristiche tipiche della cultivar (es. epoca di maturazione) al fine di un eventuale applicazione dello stress idrico controllato (Dichio et al., 2007).
 
In un'ottica di gestione sostenibile di un pescheto, è necessario porre in atto delle strategie con l’obiettivo di aumentare la quantità di acqua immagazzinata nel volume di suolo interessato dall’apparato radicale, e soprattutto durante il periodo delle piogge.
Tale obiettivo si può raggiungere attraverso il miglioramento della fertilità del suolo e della sua struttura.
Aumentando l’acqua immagazzinata nel suolo si ottiene il duplice vantaggio:
1) di dilavamento dei sali accumulati nel suolo durante la stagione irrigua
2) di riduzione degli apporti irrigui.
 
Durante la stagione irrigua, per la determinazione dei turni e dei volumi di adacquamento, deve essere considerata l’acqua immagazzinabile nel volume di suolo interessato dall’irrigazione ed esplorato dalle radici che dipende dalle caratteristiche idrologiche del suolo stesso (Montanaro et al., 2009). L’acqua “facilmente” utilizzabile dalle piante, contenuta nel volume di suolo interessato dall’irrigazione (metodo a goccia), può oscillare da 40 a 180 m3 ha-1. Tali informazioni sono indispensabili sia per la progettazione dell'impianto irriguo (disposizione, portata e numero degli erogatori, ecc.) sia per la corretta gestione della fertirrigazione (Xiloyannis et al., 2005).
Nei pescheti in fase di allevamento, è necessario considerare che nei primi due-tre anni dall’impianto gli apparati radicali sono ancora in fase di sviluppo ed esplorano un volume di suolo ridotto. Ne consegue che il volume di suolo soggetto all’irrigazione è inferiore rispetto a quello di un impianto in piena produzione. È consigliabile, quindi, una disposizione “dinamica” dei gocciolatori, aumentando il loro numero e la distanza da tronco durante i primi anni dall’impianto (Xiloyannis et al., 2005). Infine la scelta dell’architettura della chioma e della sua corretta gestione (in particolare le potature verdi) incidono in maniera rilevante sull’efficienza dell’uso dell’acqua da parte della pianta.
 
A cura di:
C. Xiloyannis, Dipartimento Scienze dei sistemi colturali, forestali e dell’ambiente, Università degli Studi della Basilicata
M. Toselli, Dipartimento di Colture arboree, Università di Bologna, viale Fanin, 46 - 40127, Bologna